IL ROMANISTA – D. GALLI – Non è un fatto di essere piagnoni. È un fatto e basta. È un fatto che il primo gol del Catania era da annullare per la posizione di fuorigioco di Marchese e il secondo pure, per quella di Lodi. È un fatto che Osvaldo è stato fermato per un fuorigioco inesistente quando ormai era lanciato verso la porta. È un fatto che, a voler essere buoni con De Marco e compagnia bella, c’era almeno un rigore per la Roma: un palleggio pallavolistico di Bellusci su colpo di testa di Osvaldo. È un fatto che Marchese – sempre lui, ultimamente la Roma ha una discreta idiosincrasia per i titoli nobiliari – non viene ammonito quando a momenti denuda Lamela. È un fatto che la Roma ha giocato esattamente come non vuole Zeman, e che se forse avesse giocato come vuole Zeman a quest’ora parleremmo di altro.
Ma voi intanto dateci quello che ci spetta, non convalidate le due marcature del Catania e assegnateci quel rigore, e poi vediamo come finisce la partita. Ed è un fatto che alla prima giornata di campionato, al ritorno di Zeman in A, la Juve viene favorita e la Roma sfavorita. È stato un caso? Può darsi. Un curioso caso. È stata una giornata del caso. Sei uomini. Adesso sono sei tra arbitro, assistenti, quarto uomo e giudici di porta. E meno male che sono almeno sei. Se fossero stati meno, immaginate quali e quanti altri danni avrebbe subito la Roma. Magari sarebbe stata annullata la sforbiciata di Osvaldo, magari avremmo avuto un Lecce bis. Battute a parte – battute, perché non spetta al giudice di porta accorgersi del fuorigioco di Marchese – non si può non fare un confronto tra campi, tra quanto accaduto domenica all’Olimpico e quanto successo il giorno prima allo Juventus Stadium.
A Roma il bilancio è di 4 favori a 0 per il Catania, a Torino è di 2 a 0 per la Juve sul povero Parma. Perché il rigore poi sbagliato da Vidal ha origine da un fuorigioco grosso così di Lichtsteiner. Perché probabilmente la punizione di Pirlo varca la linea di porta, ma nel dubbio è sempre meglio fischiare per la Juve, e non contro, come sanno benissimo il Milan e Muntari. Ma niente dietrologia, insistiamo. Sono solo casi. Grandi casi. Il fatto che coinvolgano Zeman alla prima occasione utile non c’entra sicuramente nulla. D’altronde, non è che il Palazzo abbia fatto scontare in passato a Zeman stesso e alla Roma le accuse al Potere, quello con la “p” maiuscola. Non si ripeteranno. Anche perché il Maestro ha qualche anno in più sulle spalle, ma possiede ancora tutta l’energia di questo mondo per ribellarsi alla forza oscura, tanto per vagheggiare il parallelismo di qualche tempo fa: Zeman uguale lo Jedi di Guerre Stellari. Era il 5 giugno. Nemmeno tre mesi fa. Zeman – gli chiesero – la nuova società non vuole che si parli di arbitri, lo condivide? «Io penso che è sbagliato – rispose il tecnico – però se la società dice che non si deve dire, visto che io sono un dipendente, non ne parlerò. Penso che non succede niente se si dice che un arbitro ha sbagliato qualche cosa, come quando dirò che un mio calciatore ha sbagliato qualche cosa».
Franco Baldini fu costretto a puntualizzare che la Roma non imponeva affatto «diktat», che «c’è sempre stata libertà di espressione» e che «la volontà della società è quella di non parlarne, ma quando Zeman parlerà degli arbitri non ci sarà niente di male». Uno sperava di non dover ripescare queste frasi, uno si augurava che il tempo dei sospetti non sarebbe più venuto. I fatti invitano a pensare che quell’uno vive di utopie. Ma almeno lui, quell’uno, è un signore. E al giorno d’oggi è meglio essere un signore che un Conte
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