IL MESSAGGERO – U. AIME – «Ho invitato la gente ad andare allo stadio per evitare che ci fossero solo gli ultrà e nella convinzione che gli abbonati potessero entrare. Così ho evitato il caos», il virgolettato da Miami, ieri sera, di Massimo Cellino. «Caro Abete, non sono io la vergogna del calcio», ha aggiunto. E in nottata è stato diffuso anche un comunicato con il quale il Cagliari si dice estraneo a ogni responsabilità riguardo alla decisione di rinviare la partita: «La società non condivide le motivazioni che vorrebbero ascrivere al club la responsabilità del rinvio». La firma è di Cellino.
Quand’era un “bad boy” faceva spesso disperare papà Ercole, che, alla fine, spedì il rampollo in Australia per allontanarlo dalle cattive amicizie e da altre voci ancora peggiori, un possibile sequestro di persona. Era il lontano 1978, Massimo Cellino, classe 1956, da allora è cambiato poco o nulla, almeno nel carattere. Ha fatto sempre il guascone: a casa, sui banchi di scuola, nei caffè della “Cagliari bene” e ora nel calcio. Oppure ha fatto e fa ancora il “ducetto”, con un decalogo ristretto al solo comandamento: «O con me o contro di me». Massimo Cellino è stato e continua a essere un provocatore, che nel 2003 annuncia all’Ansa: «Ho un dossier esplosivo che farà saltare in aria la bolla del calcio italiano», ma quelle carte nessuno le ha ancora o mai viste. O se volete, è stato ed è ancora un ribelle. Non solo nella vita, ma anche nella musica, con quella passione dichiarata per il rock duro, tanto da fondare un band, i Maurilius, e avere in bacheca non si sa bene quante chitarre elettriche.
E per finire qualcuno, a Cagliari, dice che negli ultimi mesi, è stato persino ingrato e lo dice per due motivi. Primo, aver obbligato la squadra di “tutti i sardi”, è così dallo scudetto di Gigi Riva in poi, a traslocare l’anno scorso nella lontana Trieste. Secondo, aver piazzato questa stagione sulle gloriose maglie rossoblù, il marchio della Tirrenia, società di navigazione poco amata da “tutti i sardi”. Insomma, un doppio affronto. Ma Cellino è fatto così: prendere o lasciare. Dal 1992 quando con un bel po’ di miliardi delle vecchie lire, in contanti e frutto degli ottimi affari della ditta di famiglia, la Sem Molini, grano, pasta e affini, acquista il da alcuni imprenditori locali, che anni prima avevano salvato il sodalizio dal fallimento. Guarda caso anche allora il padre di Cellino non è d’accordo con gli affari del figlio, ma a vincere è ancora chi diventerà quell’anno uno dei più giovani presidenti della Serie A e oggi è quello in sella da più tempo, vent’anni, davanti anche a Berlusconi.
Nella sua lunga carriera sul prato verde, il patron rossoblù ha continuato a fare da cattivo e si è subito conquistato la fama di mangia allenatori, con oltre venti licenziamenti in tronco, compreso quello clamoroso di un’icona, Giovanni Trapattoni. Perché Cellino è stato e continua a essere così: un uomo sopra le righe. Che ha avuto più di una disavventura giudiziaria: nel 1996, la guardia di finanza lo arresta per aver truffato l’Unione Europea con la compravendita di grano e lui, rinchiuso in carcere, dà ordine al suo staff: «Voglio magliette e scarpini per i detenuti». Poi prima di essere processato, sceglie la scorciatoia del patteggiamento, un anno e tre mesi, ma poi andrà in giro a dire: «Mi hanno incastrato perché sono uno scomodo».