Minuto 12′ sul cronometro, dalla bandierina sotto la Tevere c’è Miralem Pjanic che col destro pennella in area, nella mischia si staglia imperiosa la figura di un difensore romanista con il numero 29 sulle spalle, incornata vincente che lascia impietrito Amelia, l’Olimpico esplode di gioia mentre una corsa rabbiosa verso la tribuna Monte Mario squarcia l’incipit di gara, la maglia giallorossa nel pugno destro e un vamos quasi infinito, urlato a squarciagola.
Pochi ma lunghissimi secondi raccontano magicamente la storia di un uomo vero che, con un semplice colpo di testa, ha ricomposto i frammenti di quel puzzle che sembrava essersi infranto irrimediabilmente.
Uno splendido déjà vu, o forse uno straordinario segno del destino, visto che l’ultimo goal prima della rottura dei legamenti, Nico lo aveva realizzato proprio al Milan, sotto la Nord, su azione da calcio d’angolo.
“Tutti i giorni da quando ho subito quella lesione avevo paura di non farcela. Penso che faccia bene chiederselo, così ho cancellato completamente l’infortunio”. La paura di non recuperare, il timore di non essere più lo stesso atleta, che però aiutano a mantenere vivo il desiderio di tornare più forti di prima.
“El Patroncito”, soprannome datogli in Argentina da ragazzo, ha affrontato come sempre di petto il problema, ha lavorato duramente e come accade a chi parte dal basso per arrivare in alto, ha sofferto tanto ma alla fine ha trionfato.
Francesco De Gregori nella primavera del 1993 lanciava l’album dal titolo “il Bandito e il Campione” e l’omonimo brano, al di là del contenuto, sembra scritto proprio per Nicolas : due anime che si intrecciano nel modus vivendi del difensore argentino, ruvido ma essenziale nei suoi interventi, innato senso della posizione, marcatore asfissiante, la voglia di non mollare mai un centimetro all’avversario, che si chiami Cavani o Kozak, la caparbietà e la leadership in campo e nello spogliatoio.
Un campione un po’ bandito e un po’ romantico, partito dalla piccola località Altos de Chìpion nella provincia di Cordoba ed arrivato sul tetto del mondo con la maglia del Boca, poi la partenza verso l’Italia e i trionfi con quella dell’Inter, prima della folgorazione: Agosto del 2009, il prestito alla Roma, e quella maglia indossata dopo appena 12 ore a Genova, un amore inatteso, ma intenso proprio perché improvviso per i colori giallorossi e per i suoi tifosi.
Dopo uno scudetto sfiorato, 79 presenze e 6 goal in Serie A, la storia recente di Burdisso con la Roma narra di un un epilogo che sembrava oramai scontato fino alle 20:45 di sabato scorso: a seguito dell’esplosione di Marquinhos e la contestuale scoperta di Leandro Castan, Nicolas ha chiesto a malincuore alla società giallorossa di essere ceduto per riconquistare la maglia albiceleste, in vista del Mondiale 2014 in casa degli acerrimi rivali verdeoro.
Una richiesta espressa però prima di Roma-Milan, prima di quella coinvolgente corsa verso i propri tifosi, prima di quel goal liberatorio per lui e per la gente, che aspettava solo di riabbracciare con entusiasmo uno dei suoi beniamini.
“Voglio vincere con la maglia della Roma, voglio far felice la gente romanista” questo il pensiero costante del Burdisso campione, nella testa e nel cuore, che la società giallorossa non vorrebbe cedere perché crede ancora fortemente nelle qualità tecniche e ancor prima umane del difensore argentino; così come Zeman, che dopo averlo bacchettato ad inizio stagione per via della sua presunta incapacità di inserirsi negli schemi difensivi, ha affermato con forza “ne vorrei 11 come Burdisso per la sua applicazione e per la sua voglia di mettersi in discussione”.
La qualità e la forza d’animo del Patroncito servono alla Roma, servono ad un gruppo composto per la maggior parte da ragazzi giovani che necessitano di un leader così alla spalle, e probabilmente anche la Roma serve a Burdisso, che dopo mesi di sofferenza passati lontano dal campo, altri in chiaro scuro immersi nella fatica del lavoro quotidiano, sabato scorso è tornato a sentirsi realmente protagonista, a metà tra il bandito e il campione, dinanzi a quel pubblico che lo ama e che vorrebbe vederlo ancora esultare cosi, con quella maglia giallorossa stretta nel pugno.
La sensazione è che alla fine, dinanzi a questo bivio, Nico sceglierà la via del cuore, restando a Roma, e non quella della ragione che lo spingerebbe a trovare maggior spazio altrove, ma comunque vada una certezza c’è: nessuno lo giudicherà mai un traditore.