CORRIERE DELLO SPORT – M. EVANGELISTI – Le corde della sua chitarra in questi giorni hanno paura. Se è vero che Pablo Daniel Osvaldo le usa come capri espiatori e più è nervoso più le maltratta. Quando incontra gli altri giocatori della Roma, sorride e suggerisce: io sono sempre lo stesso. Più di uno in società brontola: purtroppo. I compagni di squadra sostengono il suo sguardo allegro e non gli rendono infernale la vita. Lo conoscono. Sanno quello che possono attendersi da lui e non pretendono di più. (…)
MALINCONICO – Però Osvaldo non ha violato le regole. Non era convocato, non gli era stata prescritta alcuna seduta di allenamento straordinaria. Poteva andarsene a Londra, in Micronesia (chiaro che da lì sarebbe stato difficile tornare in tempo) o nel Paese delle Meraviglie. Del resto un provvedimento disciplinare era fuori discussione, un richiamo ai valori della solidarietà di squadra sarebbe stato probabilmente vano. Il ragazzo è un notevole centravanti fatto in questo modo, orgoglioso, malinconico, alla perenne ricerca di una vita che non sta vivendo. Dovremmo essere più o meno alla fine della sua permanenza alla Roma. Ma siccome mancano ancora sette partite di campionato e auspicabilmente una finale di Coppa Italia, crocifiggere Osvaldo alle sue responsabilità sarebbe uno spreco. Anche se Andreazzoli preferisce non farlo giocare o farlo giocare poco. Lo terranno d’occhio di qui alla fine della settimana. (…)