IL TEMPO (A. AUSTINI) -Trequarti d’ora con Rudi.Guardandosi negli occhi,«perché così si capisce tutto subito» come lui insegna.«Datemi del tu» chiede Garcia nella sala stampa di Trigoria, dove si prepara la partita ancora lontana con il Napoli come se si dovesse affrontarla domani.
Felice dell’anticipo al venerdì?
«Era la mia prima scelta. Volevo giocare in casa e farlo di venerdì non dà vantaggi a nessuno: i nazionali tornano tardi anche per Benitez. Mi è piaciuto sentir dire da Prandelli che userà il buon senso pensando al nostro match . Dovrebbe essere così per tutti i ct, però l’Italia è già qualificata e altri no. I ragazzi devono dare il 100% per i loro Paesi, poi tornare in fretta ad allenarsi con noi».
Come ha costruito la sua Roma vincente?
«C’erano due cose principali da fare. La prima era creare un’identità di gioco e sin dall’inizio i calciatori hanno appreso velocemente. Il secondo obiettivo era quello di lavorare sulla testa, specialmente di quelli messi in difficoltà dalla tifoseria. O meglio, contestati da alcuni stupidi: non è possibile amare la tua squadra e insultare un tuo giocatore al tempo stesso».
Si aspettava di avere questo impatto?
«Le sette vittorie aiutano, ma io penso solo a come vincere la prossima e chiedo di continuo ai miei ragazzi di fare lo stesso».
Come si può migliorare un gruppo finora perfetto?
«Voglio che la mia Roma sia capace di giocare in modi diversi: una squadra che ha solo un modulo è limitata. L’avversario ti aspetta in un modo e tu devi saper fare altro per sorprenderlo: contro l’Inter è successo. L’azione del primo gol, con il pressing molto alto, rappresenta il nostro gioco. Ma non è l’unico».
Teme un calo fisico?
«La preparazione è scientifica ma non al 100%. Noi abbiamo lavorato per partire bene e reggere nel lungo periodo: non sappiamo se ci riusciremo. Non giocare le coppe quest’anno è un vantaggio. L’obiettivo è tornare a farle».
Quindi non mirate allo scudetto?
«Non possiamo se ci sono la Juventus e l’Inter a due punti di distanza. Anche in Spagna l’Atletico ha vinto otto partite su otto ma non si pensa che sia da titolo perché ci sono Barcellona e Real. Lo stesso vale per noi: io guardo semmai ai punti guadagnati sulla quarta».
Come ha fatto a recuperare De Rossi?
«Non era normale che giocasse bene con la nazionale e male con la Roma: evidente che esistesse un problema. Ma uno così forte è sempre meglio averlo ed è stato molto semplice decidere per me. Quando è tornato dalle vacanze abbiamo deciso di fissare una scadenza insieme: non potevo perderlo alla fine della preparazione. Il Manchester United ha chiamato lui e la Roma a ridosso della partita di Livorno, ma ormai quel termine era scaduto e Daniele ha mantenuto la parola data. Conta ancora qualcosa in questo mondo».
E Totti?
«Devi sempre fare in modo che tocchi più palloni possibili per illuminare il gioco. Se non succede vuol dire che qualcosa non va. Ora sta facendo il centrale ma può partire anche dall’esterno».
Gervinho è una sorpresa per tutti, tranne per lei.
«Era così anche a Lille, ma adesso è più maturo ed esperto. La testa comanda tutto: ha ritrovato fiducia in se stesso».
Ma ora dove lo mette Ljajic?
«Non deve giocare per forza al posto di Gervinho. Può sostituire anche Totti e Florenzi, o partire dall’inizio. Non è entrato nelle ultime gare solo perché aveva mal di schiena. Deve lavorare molto, può diventare più veloce e potente, ma il suo talento è immenso ed è anche un bravo ragazzo. Una riserva di oggi è un potenziale titolare di domani e io preferisco sempre avere possibilità di scelta. Per questo spero di avere Maicon e Bradley con il Napoli e che Destro torni presto».
Cosa c’è da cambiare nel centro sportivo?
«Trigoria è come una groviera: dai buchi si può vedere tutto quello che accade in campo. Basta andare su internet per sapere cosa faccio in tempo reale. Una cosa incredibile che può costarti anche una sconfitta. Anch’io alla vigilia delle partite vado sui siti delle altre squadre a cercare notizie (ride, ndr). L’importante è chiudere questi buchi».
Eppure lei da piccolo voleva fare il giornalista.
«Vero, è uno dei mestieri più belli. Ancora meglio giocare, sicuramente più facile che allenare: il calciatore normalmente bada solo a se stesso, come facevo io, mentre l’allenatore deve pensare a tutti».
I saggi che ha selezionato come la aiutano?
«Si pensa meglio in sei che in uno. Di solito decido io, ma se c’è ad esempio da scegliere se è meglio partire per una trasferta il giorno prima o lo stesso della partita, preferisco confrontarmi con loro».
Cosa pensa uno venuto dalla Francia della discriminazione territoriale in Italia?
«Succede anche da noi e il razzismo deve essere combattuto in tutte le maniere possibili. Ci sono delle regole, però la cosa più importante è poterle applicare. Oggi usando i video, e in Italia con i biglietti nominali, possiamo sapere chi fa certe cose, andare a prendere queste persone stupide e tenerle fuori dallo stadio per cinque anni. In Inghilterra hanno fatto così o no?».
Quindi è un problema del calcio?
«No, sociale. Questo non è il mio lavoro, ci sono persone addette a prendere certe decisioni. Non do nessuna lezione, ma in tutta Europa si potrebbe fare ancora molto per educare attraverso lo sport. A partire dai bambini. Io credo nella bontà di fondo dell’uomo e non ci possiamo rassegnare davanti a pochi cretini».