Camiglieri (Open Gate Italia): “Basta con questa comunicazione provinciale”

Camiglieri (Open Gate Italia): “Basta con questa comunicazione provinciale”

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RIVISTA ROMANISTA (T. RICCARDI) – Via Cassiodoro, dietro piazza Cavour, all’ombra di Castel S. Angelo. È lì il quartier generale di Open Gate, la società di “public affairs” (così è scritto sul sito, in pratica relazioni pubbliche), che si è occupata della comunicazione dei primi giorni romani di Thomas DiBenedetto, il leader del consorzio americano pronto a mettere le mani (e i soldi) sull’As Roma. Ad accoglierci nel suo studio è Tullio Camiglieri, il presidente, ma anche giornalista di provata esperienza. L’occhio cade subito su una maglietta della Lazio di Chinaglia, insieme a quella rossonera di Gattuso, regalatagli da Galliani. Non è un mistero la sua fede biancoceleste: “Nel nostro lavoro la passione non conta, siamo professionisti”. C’è anche del giallorosso. Sulla scrivania si trova una bozza della prima pagina del Romanista del 7 aprile: “I fantastici quattro”. Su un tavolino, invece, la copia dello stesso quotidiano del post Udinese-Roma. Come a dire, ciò che gira intorno alla Roma viene seguito con grande attenzione. Anche un cimelio, la bandiera della Roma di Stream per celebrare lo scudetto del 2001: “Quel pomeriggio in tribuna Monte Mario ne consegnammo centinaia. E il primo a prenderla fu l’onorevole Gasparri”. Questo è il passato. Il presente (e forse il futuro) della Roma è Open Gate.

Cos’è Open Gate?
“Prima di tutto, una scommessa per questo paese, che ha sempre pensato che la comunicazione fosse limitata alla pubblicazione di qualche articolo sul giornale o ad investimenti pubblicitari. Noi siamo convinti che la comunicazione sia una cosa diversa: riuscire a costruire un clima, dare delle indicazioni generali che vadano al di là dell’interesse della singola azienda, ma che possano costruire un “humus” generale intorno al quale il lavoro del cliente diventa più facile”.

Tra i vostri clienti, ci sarà la nuova Roma?
“È prematuro dirlo, ora. Ce lo auguriamo. Noi abbiamo il mandato per seguire il gruppo DiBenedetto fino al closing”.

Per una società di questo livello, come si potrebbe intraprendere un nuovo discorso di comunicazione?
“Io credo che il primo obiettivo sia quello di uscire dal Raccordo Anulare. Roma si merita qualcosa di più, che essere chiusa in se stessa. Poniamoci intanto il problema di come riuscire a trasportare la Roma, la storia giallorossa, fuori dalla città. Cominciamo a rappresentare una squadra con i suoi punti di forza, con le sue capacità di aggregare al di là dei confini cittadini. E poi c’è una questione fondamentale: Roma è un marchio nel mondo. È uno di quei nomi che possono avere mille opportunità di comunicazione in tanti paesi dal mondo”.

In cosa ha difettato la comunicazione della Roma negli ultimi anni?
“Di essere stata una comunicazione di provincia, molto di provincia”.

Si spieghi meglio.
“Significa chiudersi in polemiche sterili, chiuse su se stesse, poste su fattori secondari. Bisogna pensare in maniera più grande. Dare un respiro internazionale. Come già detto, uscire dal Raccordo Anulare, dove ci si accavalla in inutili polemiche con radio o altri mezzi di comunicazione”.

Dove e come nasce il contatto con il consorzio di DiBenedetto, che avete affiancato nei suoi primi giorni romani?
“La nostra presenza sui mercati internazionali è consistente. Già tre anni fa affiancammo un gruppo di investimento statunitense interessato agli stadi, anche se in questo paese è difficile realizzare certi progetti. È un rapporto, quello con DiBenedetto, nato attraverso questo tipo di esperienza e attraverso lo studio legale Tonucci, vicino al dossier della negoziazione”.

Che impressione ha tratto dal gruppo di Boston?
“Sono professionisti, persone che conoscono molto bene lo sport professionistico. Che hanno scelto di investire sulla Roma non per improvvisazione, ma per scelta. Che hanno fatto le loro analisi di mercato, traendo indicazioni positive sull’affare: sia legate al brand, sia alla possibilità di intraprendere in questo paese una politica di marketing che faccia leva soprattutto sullo stadio. In Italia abbiamo impianti di cemento armato, inutili, sulle spalle dell’ente locale, che vivono se va bene novanta minuti a settimana”.

Accennava alla difficoltà tutta italiana di edificare nuovi impianti sportivi.
“Qualche problema esiste. Da una parte, una legge per la quale dopo un certo numero di anni uno stadio diventa un bene artistico, anche se lo stesso è solo un ammasso di cemento armato. Dall’altra, il fatto che i comuni facciano fatica a liberarsi di questi manufatti, peraltro molto costosi. E poi, da noi l’iniziativa privata non è stata mai vista bene, dietro l’angolo c’è sempre qualche personaggio che, pronto a costruire uno stadio, chiede in cambio milioni di metri cubi sottraendoli alla collettività. Ma se si è in presenza di un soggetto serio, disposto ad affrontare un progetto reale, il discorso potrebbe cambiare”.

Gianni Petrucci, presidente del Coni, l’ente proprietario dell’Olimpico, ha criticato la volontà di DiBenedetto di voler costruire un nuovo stadio.
“DiBenedetto ha detto una cosa molto semplice: “Sono stato all’Olimpico e dalle tribune la gara non si vede bene”. Sfido chiunque a sostenere il contrario. Mi è sembrata, quella di Petrucci, una reazione eccessiva. Capisco che l’Olimpico senza la Roma e la Lazio possa avere dei problemi. Si potrebbe ripensare alla mission di quell’impianto: sfruttarlo per l’atletica, per esempio. Noi, però, dobbiamo procedere in quella direzione. Ed è normale che ciò avvenga, anche perché le società di calcio hanno come unica fonte di reddito le gambe dei calciatori, che alla lunga si esauriscono. E allora lo stadio diventerà fondamentale per garantire ritorni economici importanti”.

Quanto tempo ci vorrà, a suo avviso, per realizzarlo?
“Parliamo di anni. Presentare un programma chiaro, preciso e definito sarebbe già un passo in avanti”.

E il progetto “Franco Sensi”, presentato in pompa magna da Rosella Sensi?
“La Roma non ci ha mai voluto mettere la testa davvero. Un nuovo stadio di calcio deve essere un’opportunità per la comunità, da vivere sette giorni su sette, possibilmente ventiquattro ore su ventiquattro. Con cinema, palestre, market e tante altre cose”.

Davvero DiBenedetto pensa ad un nuovo Campo Testaccio, come ha dichiarato alla Gazzetta dello Sport?
“Potrebbe essere una soluzione, naturalmente concepito in modo avveniristico. Quel riferimento storico non è stato indotto dal cronista, lui è perfettamente a conoscenza della storia giallorossa”.

Qualche anno fa Open Gate entrò in polemica con la Roma per la costruzione del museo della Roma, per il quale foste incaricati di presentare un progetto di fattibilità.
“Fu la società a tirarsi indietro e a non voler portare a compimento il nostro studio. Le condizioni c’erano tutte per poterlo realizzare, è mancata la volontà. Il lavoro che portammo avanti era veramente interessante, speriamo di poterlo riprendere con gli investitori americani”.

Qualche polemica è nata intorno alle interviste italiane di DiBenedetto, concesse alla Gazzetta dello Sport, al Tg1 e a Mediaset. Qualcuno si è lamentato per essere stato escluso.
“La Gazzetta dello Sport è il più grande quotidiano sportivo italiano, la Roma sceglie il più grande quotidiano sportivo italiano. Punto. Con chi altro si doveva parlare? Così come Tg1 e a Mediaset, i due più importanti tg nazionali. Per noi era importante dare il massimo della visibilità nazionale”.

Sky, però, è rimasta a bocca asciutta. Si è malignato anche in questo caso, visto il suo secco divorzio con la tv di Murdoch.
“Ridicolo. Le dico che ho lavorato per venti anni a Mediaset, da vicedirettore del Tg5, e cosa avrei dovuto fare? Non dovevo concedere l’intervista nemmeno a loro?”.

La scelta della visita al Roma Club Testaccio?
“Semplicemente, perché è il più antico club romanista”.

Sarà roseo, dunque, il futuro della Roma?
“Certamente. C’è molto da lavorare, molto da fare, ma il nome da cui si parte, Roma, è unico”.

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