IL MESSAGGERO (R. RENGA) – Non per caso abbiamo trovato due squadre portoghesi nella finale (affascinante tatticamente e dunque avara di emozioni) della coppetta Uefa. Non per caso il Barcellona vince tutto ciò che c’è da vincere e la Spagna fa altrettanto. Si tratta dei due paesi all’avanguardia culturale e tattica. Il Portogallo deve tutto a Eriksson, che portò a Lisbona la sua rivoluzionaria idea del calcio: zona mobile, corsa, squadra corta, difesa alta, pressing e raddoppio di marcature. Lo capì Dino Viola, che lo mise giustamente al posto di Liedholm: zona, atto secondo. In Portogallo alla tecnica tradizionale hanno aggiunto la scienza tattica, che ci ha regalato Mourinho, Villas Boas e Domingos. In Spagna ha aperto gli occhi a tutti tale Cruyff che insegnò la prima regola del nuovo calcio: si deve vincere giocando bene. Il suo Barcellona è il padre di questo mostrato da Guardiola, che con Cruyff faceva il regista, e di tutto il calcio spagnolo, diverso da quello portoghese: meno frenetico e difensivo, più aperto allo spettacolo. Nei panni di un dirigente italiano, andremmo a cercare allenatori in questi paesi, più che in Francia e Olanda, dove gli impegni sono lievi e dilettantistici. I portoghesi sono già accasati. Roma e Juve sono tentate dal tecnico del Porto, che a loro volta tentano, mostrando calciatori, progetti, soldi. Ma lo vogliono tutti e ha un contratto con i migliori dirigenti del mondo, quelli, appunto, del Porto. Rimangono gli spagnoli, allora. Ce ne sono di bravi e non ancora noti o sfruttati? Ce ne sono. Basta guardarsi in giro e controllare. L’identikit di un tecnico buono per un eventuale rinascimento lo si può disegnare, seguendo queste dieci indicazioni: 1) giovane; 2) ex attaccante (le punte amano il gioco d’attacco e ne conoscono i trucchi e i movimenti); 3) che sia partito dalle serie minori (altrimenti è viziato); 4) che abbia voglia di confrontarsi; 5) che sia ambizioso; 6) che voglia puntare sui giovani; 7) che abbia già dimostrato capacità aziendali, moltiplicando il valore degli investimenti; 8) che mostri maturità tattica, provandolo con la continuità dei risultati; 9) che parli e capisca l’italiano; 10) che abbia esperienza internazionale. Se la società a caccia del tecnico fosse, per caso, la Roma ricorderemmo che l’allenatore deve essere o romanista (nato e cresciuto nel club) o con un passato immacolato. Ossia: Montella o, per dire, Stramaccioni, sì; chi ha avuto frequentazioni con avversari storici della Roma, no: la piazza non è ancora così matura da accettarli. Non vale per Peruzzi, che a quindici anni volava in maglia giallorossa.