LA REPUBBLICA (S. SCACCHI) – Se scendono in campo ex figure di primo piano del gruppo di azione finanziaria internazionale (Gafi), dell’Internal Revenue Service statunitense (Irs) e della Banca Nazionale del Portogallo, insieme ad avvocati di 25 Paesi, significa che il problema delle ombre sulle proprietà calcistiche è serio e deve essere affrontato con decisione. Lo ha chiarito il report ‘Global study on club ownership’, realizzato da Sport Integrity Global Alliance (Siga), International Centre for Sport Security (Icss) e International Association of Lawyers: «Ci sono significative zone grigie finanziarie nel calcio che devono essere illuminate per impedire alla criminalità organizzata di prendere piede». «I buchi regolamentari creano terreno fertile per la criminalità», dice Richard Weber, ex capo della divisione di investigazione criminale dell’Irs. «Fin dalla prima analisi sul riciclaggio nel calcio era chiaro che questo mondo non era immune da fenomeni di corruzione» aggiunge Rick McDonnel, ex segretario esecutivo del Gafi. Impressionante una slide che illustra gli intrecci tra narcotrafficanti messicani e alcuni club del Paese centramericano. Al punto che negli anni scorso la Dea – l’agenzia antidroga Usa – aveva diramato un allarme relativo alle infiltrazioni in 4 società calcistiche. E viene ricordato il caso del boss Tirso Martinez Sanchez che si serviva di due club: Queretaro e Irapuato.
Altre minacce possono arrivare dalle scommesse illecite oppure dal trasferimento di calciatori controllati da “parti terze” private. Preoccupa l’assenza di regole uniformi. «E urgente chiudere questa falla», spiega Pedro Machado, capo del dipartimento legale della Banca del Portogallo. Dall’analisi dei controlli nei 25 Paesi oggetto dell’analisi risulta che solo tre ordinamenti calcistici prevedono un organismo dedicato a monitorare i cambi di proprietà. Si tratta di Italia, Francia e Svizzera. Mentre solo due Paesi hanno strumenti che consentono di esaminare le caratteristiche dell’acquirente: Gran Bretagna e ancora Italia. Il nostro sistema quindi, da un punto di vista della cornice normativa, è all’avanguardia. Effetto della stretta introdotta dopo il caso Manenti a Parma. Ma è evidente che nemmeno questo può bastare, come ha dimostrato l’opacità dell’acquisto del Milan da parte di Yonghong Li. «Un conto è l’esistenza delle norme, un altro la concreta possibilità di applicazione», spiegano gli autori dello studio, consapevoli della necessità di andare oltre le schermature dei paradisi fiscali, una barriera contro la quale si infrangono i tentativi di scoprire i reali proprietari di tanti club calcistici. «Talvolta ci siamo imbattuti in strutture societarie diaboliche anche per gli investigatori dell’Fbi». Questo aspetto verrà affrontato nella seconda parte del report, in programma nel 2019.
In un’altra sezione viene segnalata la diffusione sempre maggiore delle multiproprietà internazionali. Qui non entrano in gioco problemi di legalità, ma possibili questioni di etica sportiva, alla luce delle opportunità di sponde tra società gemelle. A fare la parte del leone in questo campo è la famiglia Al Nahyan degli Emirati Arabi che controlla il Manchester City, oltre a club in Giappone, Australia, Spagna, Usa e Uruguay. Ed è curioso notare che spesso questi intrecci hanno come punto d’appoggio il Belgio. Per un motivo in particolare: la facilità di tesseramento di calciatori extracomunitari, requisito ideale per smistare i migliori talenti africani. Viene spesso citato il caso della finale di Coppa del Belgio del 2004, Beveren-Bruges, nella quale il Beveren schierò 10 giocatori ivoriani nella formazione titolare. «Sempre più frequentemente gli investitori non acquistano club per passione calcistica», è l’amara conclusione di Emanuel Macedo de Medeiros, ex manager Epfl (associazione delle Leghe professionistiche europee), direttore esecutivo di Siga: «La mancanza di una regolamentazione seria espone a infiltrazioni». Per questo servono adeguate contromisure.