Le rimonte subite non possono più essere considerate casuali

Le rimonte subite non possono più essere considerate casuali

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IL TEMPO (E. MENGHI) – Lo show di Dzeko e poi il nulla. Una Roma azzerata nel secondo tempo, un voltafaccia spaventoso e una malattia che non guarisce più: la «rimontite» in questa strana stagione ha portato via troppi punti e lasciato ai giallorossi un mare di rimpianti. Dal 3-0 al 3-3, a Bergamo va in scena un film visto e rivisto, da cui la squadra di Di Francesco sembra non imparare mai. All’andata la rimonta l’aveva fatta la Roma, dall’1-3 al 3-3 finale all’Olimpico in agosto, ma al ritorno l’Atalanta gliel’ha fatta pagare: stesso risultato, storia della partita molto diversa. Un preavviso c’era stato la settimana scorsa, quando il Torino per poco non era riuscito a pareggiare nella capitale dopo i gol di Zaniolo e Kolarov e a salvare la situazione ci aveva pensato El Shaarawy al 73’. Anche stavolta il tris porta la firma del Faraone, ma non basta per la vittoria. Prima dell’intervallo Castagne infila Olsen e dà il via ad una scalata storica: è solo la seconda volta che i nerazzurri riescono a recuperare 3 gol da situazione di svantaggio in Serie A, la prima nel 1992 contro il Foggia. Di Francesco come Zeman, quindi. Lo stesso boemo a Roma ha subito batoste del genere, risultato di una filosofia di gioco votata all’attacco, con annessi rischi per la difesa e un equilibrio carente: di Zemanlandia è frutto il suicidio giallorosso con l’Udinese nell’ottobre 2012, dal 2-0 al 2-3 con doppietta di Di Natale. Solo un esempio di un vizietto antico, che negli ultimi vent’anni si è ripetuto più di 30 volte, come un testimone pesantissimo trasmesso da allenatore ad allenatore, da presidente a presidente.

L’anno scorso il tecnico abruzzese aveva fatto un miracolo, era la sua squadra l’artefice di grandi rimonte, in Europa le più belle, ma in questa stagione il vecchio male è tornato d’attualità e Pallotta aveva stigmatizzato quest’atteggiamento meno di due mesi fa: «I giocatori non capiscono che i match durano 90 minuti». La critica era arrivata dopo lo shock della Sardegna Arena, ennesima prova delle fragilità dei giallorossi. In tutto sono 8 i punti lasciati per strada per colpa di questo difetto, non saper spegnere le partite gestendo il risultato. Tutto è iniziato col Chievo a metà settembre, dal 2-0 del primo tempo al 2-2 finale, a Napoli il gol in extremis di Mertens a pareggiare i conti dopo il gol di El Shaarawy, poi Cagliari, campo che si è confermato maledetto col doppio vantaggio e la doppia superiorità numerica buttata all’aria. Ora un nuovo capitolo della saga dei rimpianti, a Bergamo la Roma si è spenta nella ripresa, non ha tentato nemmeno un tiro in porta, cosa che non capitava dal derby del 2011 contro la Lazio vinto per 2-1 dai biancocelesti, e non ha nemmeno mai toccato la palla nell’area avversaria nel corso dei secondi 45 minuti di gioco, mentre i bergamaschi hanno giocato il pallone nei 16 metri difesi da Olsen per ben 25 volte. Venticinque a zero, un divario enorme che racconta una storia diversa dal primo tempo, in cui i giallorossi erano andati al tiro 7 volte, con una precisione maggiore rispetto agli avversari (solo 2 fuori e 5 nello specchio di cui 3 trasformati in gol). La squadra di Di Francesco sarebbe settima se giocasse solo i secondi tempi, in cui ha segnato 19 gol subendone 17, mentre la classifica dei primi tempi la vede quinta, com’è, con 21 gol fatti e 12 incassati. Non sarà folle come il Parma, secondo stando ai 45 minuti iniziali e ultimo
dall’intervallo in poi, ma le due facce della Roma preoccupano. Residuo della crisi o malattia cronica che sia, va trovata una soluzione in fretta.

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