La vita è piena di persone integraliste, che attraversano il vasto mondo con modi di fare differenti. Tra i tanti, esistono due categorie, che sono ormai diventati espressioni di un fondamentalismo che sfiora la religione: Patrik Schick è stato un bluff in cui la Roma è caduta (e si è fatta male) oppure un attaccante sfortunato nel rapporto con gli allenatori giallorossi? Chi è iscritto da tempo al secondo partito è senz’altro Vaclav Kotal, c.t. della Repubblica Ceca Under 17, uno che lo conosce bene, e proprio per questo dà l’impressione di saperla lunga proprio per la frequentazione con l’ambiente della nazionale maggiore, dove Schick anche in questi giorni sta furoreggiando. «Patrik ha avuto dei problemi con la presenza di Dzeko – ha detto al portale ceco “isport.blesk.cz” –. Il bosniaco era il leader dell’attacco della Roma e quando stava in campo costringeva Schick a spostarsi a destra. Il ruolo che invece ha in nazionale è perfetto per lui, gli dà fiducia e gli permette di credere nelle sue qualità». Come riporta la Gazzetta dello Sport, non è un mistero che, al netto del ruolo ingombrante di Dzeko, il 23enne di Praga sia rimasto psicologicamente schiacciato dal peso del suo cartellino, pagato 42 milioni, che lo ha trasformato nel calciatore più pagato della storia giallorossa. Non facile per un ragazzo approdato per la prima volta in una piazza grande e complicata come sa essere quella romana. Persino i suoi compagni vedevano la differenza che c’era tra le sue prestazioni in allenamento («ha tutte le qualità che occorrono ad un attaccante di grandissimo livello», diceva ad esempio Manolas) e quelle in partita, sottolineando che gli occorreva solo sbloccarsi dal punto di vista psicologico. Finora non è avvenuto, ma è possibile che «la cura portoghese» sortisca effetti.