Vincenzo Montella ha rilasciato un’intervista al Corriere dello Sport. L’ex centravanti della Roma si è soffermato su diversi argomenti. Di seguito i passaggi più importanti.
Come finisce la semifinale di Europa League?
Per me la Roma se la gioca alla pari.
Fonseca però si è snaturato. Ha rinnegato quella che Montella chiama identità.
Contava troppo il risultato. Se affronti l’Ajax con le sue stesse armi magari giochi bene ma poi non passi il turno. Non se se Fonseca meriti la conferma perché i matrimoni si fanno in due. Ma io lo apprezzo, anche per lo stile.
Con Dzeko Fonseca è stato molto duro. Se Capello si fosse comportato allo stesso modo dopo la bottiglietta di Napoli…
Intanto io non la tirai addosso a Capello, su. Ma indubbiamente da calciatore ero una testa di ca**o, volevo giocare sempre, soprattutto in quel periodo. Stavamo vincendo lo scudetto e io mi sentivo più forte degli altri. Ma gestendomi in quel modo, facendomi incavolare, Capello seppe tirare fuori il meglio da me. Andai via dalla Roma quando mi resi conto che non mi arrabbiavo più.
Aveva ragione Capello, allora?
No, questo mai. Fabio aveva ragione spesso, ma non con me. Scherzi a parte, lui mi stimava e mi stima ancora. E anche io lo stimo. Il suo obiettivo era trarre il massimo dalla squadra, non dal singolo.
La Roma, parole sue, è “un percorso incompiuto”.
Due volte. Nel primo caso speravo di rimanere come allenatore e non è stato possibile. Peccato, mi sarebbe piaciuto impostare un progetto dall’inizio. Nel secondo hanno scelto un altro (Zeman), dopo vari sondaggi. Ci lasciammo male perché ci avevo creduto. Sì, nel 2012 mi sentivo l’allenatore della Roma.
Si raccontò di una brutta litigata con Franco Baldini.
Ci furono delle divergenze. Niente di grave, anzi con Franco mi sento ancora. E stimo Sabatini. Sinceramente non ricordo di averli cacciati di casa come si è detto. A distanza di anni comunque ho capito: mi volevano bloccar per evitare che prendessi altre strade, come spesso capita ai dirigenti, e intanto sondavano diversi allenatori. Purtroppo rimasi con il cerino in mano ma nel calcio succede. E per fortuna mi chiamò subito la Fiorentina, dove facemmo cose straordinarie.
Tornerà alla Roma?
Ammetto che la Roma è una sorta di punto debole. È parte di me. Qui ho giocato, vinto, allenato. Magari non è troppo tardi per riprovarci. Ranieri a quanti hanno realizzato il sogno di allenarla?
Era il 2009, ne aveva 58.
Ecco, a me resta una decina d’ani per sperare. Ma non mi sto proponendo. Lo preciso per due motivi: uno perché Fonseca sta lavorando bene, si è adattato al calcio italiano facendo valere le sue idee, almeno quando la squadra era al completo; due, perché se qualcuno avesse il dubbio di telefonarmi, con questa intervista se lo toglierebbe. (E giù a ridere).
Perché gli allenatori alla Roma durano poco?
Fonseca ha resistito già due anni, che non sono pochi. Credo però che nella Roma si avverta il peso delle vittorie che non arrivano. Le aspettative sono alte, si vorrebbe vincere subito.
Nel gruppo azzurro è tornato De Rossi, che ha preso una strada diversa da Pirlo.
Ha il mestiere dell’allenatore nel dna, ha fatto un’ottima scelta. Stando sul campo accumulerà la giusta esperienza.
E Totti che farà da grande?
Qualsiasi cosa, credo. Dopo aver visto il documentario, lo vedo bene anche come attore…Siamo ancora amici: andiamo d’accordo perché non ci sentiamo tanto, siamo due persone riservate. Ci pensano le nostre mogli a tenerci uniti”.