Dejan Stankovic, ex compagno di nazionale di Nemanja Matic, ha rilasciato un’intervista al quotidiano sportivo, parlando dell’ormai ex centrocampista del Manchester United, pronto al passaggio in giallorosso. Le sue parole:
Che cosa significa quando un tecnico porta uno stesso giocatore in tre club diversi come sta facendo l’allenatore portoghese con Matic, che ha già allenato al Chelsea e al Manchester United?
«Che per lui ha due doti fondamentali: affidabilità e lealtà. Significa che sa di potersi fidare di lui sia in campo che nello spogliatoio, che è una persona seria, con dei grandi valori e una bella famiglia che lo segue. E poi José sa bene che è un guerriero. Uno di quelli che piace a lui».
Che tipo di calciatore è?
«Molto forte. Bravo nel primo passaggio per cominciare la manovra, rapido nell’intervenire sulle seconde palle, abile di testa. Poi, grazie al suo fisico, ottimo per proteggere la difesa. Lo ammetto, sono molto curioso di vedere come si adatterà nel calcio italiano, ma non ho dubbi che farà bene».
Perché nell’ultima stagione al Manchester non ha brillato?
«Preferisco vedere il rovescio della medaglia: diciamo che si è risparmiato per giocare altri due o tre anni a grande livello. In Premier c’è più dinamicità, mentre la Serie A è il campionato più tattico che ci sia. A quasi 34anni, Nemanja ha l’esperienza per fare subito bene»
Lei ha giocato con lui in nazionale.
«Era giovane, ma si vedeva subito la qualità che sapeva dare alla squadra».
Lei prova a trasferire gli insegnamenti di Mourinho alla sua squadra?
«Il tentativo lo faccio, però è difficile copiare i maestri. C’è un proverbio delle mie parti che dice: “Non si imparano le cose per come vengono dette, ma per chi le dice”. Ecco a José credi sempre. Se gli dai fiducia, lui te la ridà».
Si vede che il rapporto avuto all’Inter l’ha segnata.
«Io credevo di aver raggiunto il top di quello che potevo dare, invece mi ha messo in condizione di dare il venti-trenta per cento in più. Sa sempre che cosa chiedere, sa quali tasti toccare per farti avere la reazione di cui ha bisogno, dandoti anche complicità quando occorre».
Ci racconta un vostro segreto?
«Ne avrei tanti, ma le dico che nella sua prima stagione all’Inter stavamo vincendo il campionato con alcune giornate di anticipo. José un giorno venne da me e mi chiese: “Ma non mi avevi detto che volevi portare tua moglie in vacanza a Dubai?”. Io gli risposi di sì, che a fine campionato lo avremmo fatto di sicuro. Lui rispose: “Non ti preoccupare, parti subito. Quale partita preferisci giocare, la penultima o l’ultima?”. Io dissi che avrei preferito essere in campo nell’ultima, per la premiazione e la festa”. Mi rassicurò: “A posto. Vai a riposarti, torni una settimana prima della fine, ti alleni e giochi tu”. E così andò. Ecco, come fare a non dare tutto per uno come lui? Per questo, al suo primo anno alla Roma ha già vinto un trofeo».
È vero che uno come Mourinho può restare in una squadra non più di due o tre anni perché ti spreme?
«Dipende dalle situazioni. Certo, José ha un nucleo di 14-15 giocatori che utilizza sempre e che devono essere pronti a tutto. Questo può logorare, ma il fatto che ti dia fiducia è una cosa che regala carica».