La più grande forza di Daniele De Rossi? Non saper mentire a se stesso, scrive Giancarlo Dotto su La Gazzetta dello Sport.
La sua più grande debolezza? Non saper mentire a se stesso. Essere tifoso della squadra che allena è ciò che ne fa un guerriero, ma è la cosa che lo rende vulnerabile. Alla vigilia del suo primo derby da allenatore il ragazzo di Ostia ha mostrato in conferenza stampa dominio delle parole e controllo delle emozioni. Semplice e diretto (“Se giochi vent’anni in un posto non puoi avere solo bei ricordi”. Applausi). Attento a sdrammatizzare, ma ancora più attento a non banalizzare (“Il derby non ha mai conseguenze normali”. Impeccabile).
Il suo sintomo è il derby. Forse più di qualunque altro tifoso al mondo, quello romanista vive male il derby. Il derby è malessere. Lo vive come una fastidiosa dissenteria. L’importante è contenere i danni e che passi in fretta. L’idea prevalente è che questa partita sarebbe meglio cancellarla dal calendario. Il ragazzo di Ostia ha vissuto il derby da tutte le prospettive. Ha provato ad esorcizzarlo da bambino, da giovane e da anziano, da giocatore e da tifoso, alla tivù di casa o truccato da ultrà in curva Sud e ora da allenatore che ha appena cominciato e già gli fanno con il ditino carnefice: “Occhio che domani ti giochi tutto”, tanto per non mettergli pressione. (…)