Il primo giorno in cui arrivò a Torino, Ivan Juric entrò in un pub, lo Shamrock, e ordinò una Guinness. Quando alcuni tifosi del Torino lo avevano riconosciuto, volevano offrirgli una birra. Lui pagò da bere a tutto il locale dicendo: «Me la offrirete solo dopo che avrò vinto una partita».
In realtà, ha sempre pagato lui: lì o a Lo Sbarco, locale di San Salvario a cui avrebbe voluto dedicare una vittoria nel derby sulla Juve: non ci riuscirà mai. Ma all’allenatore che la Roma ha scelto per uscire dal pantano piace vivere le città in cui lavora.
Come scrive la Repubblica, se “ruvido” è il primo aggettivo che tutti usano per Juric, il secondo è “generoso”. A Verona, durante il lockdown, ha fatto il volontario alla mensa dei poveri.
A Torino, dopo una visita alle case di accoglienza “Casa Ugi”, ha staccato un assegno per pagare due anni di alloggio a una famiglia bisognosa. Poi c’è la sua, di casa. Si esalta di fronte ai successi della Croazia nello sport e se gli chiedi come sia possibile che un Paese con meno di 4 milioni di abitanti possa eccellere nel calcio e nel basket, nella pallanuoto e nel salto in alto, ti risponderà: «Facile, siamo i migliori di tutti». In estate ha rifiutato l’Hajduk, ma se Juric ha un sogno, è di allenare la Croazia. Meritarlo o meno, dipenderà da questi otto mesi di Roma.