Che sia l’anno della Fenice: bienvenue monsieur Garcia

Che sia l’anno della Fenice: bienvenue monsieur Garcia

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rudi garciaScelta impopolare, nonostante l’ottimo lavoro fatto in Francia. Manifestazioni di dissenso, pur non conoscendo il soggetto. Il tormentone è pressoché lo stesso, ridondante, da qualche giorno: “Non conosce l’italiano e la Serie A“, si sente, si legge, si scrive, un po’ qui un po’ lì. Come se Klopp, ex allenatore del Mainz, retrocesso e quindi cambiato dalla società prima di arrivare a Dortumnd e programmare la sua scalata verso il successo, conoscesse le due cose. Come se Ferguson, una vita allo United, fosse a conoscenza del calcio italiano e della relativa lingua italica. Stesso discorso che si può fare, volendo, anche con Wenger, Del Bosque, Hiddink, Low, solo per citare qualche grande allenatore straniero ai vertici della classifica dell’IFFHS dei migliori allenatori al 2013.

Critica che per certi versi va indubbiamente letta da un altro punto di vista. Il progetto-Roma, avviato dalla nuova Proprietà americana ormai due anni fa, non ha raggiunto alcun risultato in due anni di gioco: nel 2011-’12 settimo posto, con una rosa totalmente stravolta ed un lavoro meticoloso per cercare di abbassare il tetto ingaggi e insediare nuove basi: nel 2012-’13 sesto posto in rimonta (che qualche anno fa valeva la Coppa Uefa anche per la Serie A), nonostante alcuni punti “facili” lasciati per strada che avrebbero potuto significare Europa League, per non parlare della scialba prestazione in Coppa Italia quel maledetto 26 Maggio.

Il popolo romanista è sfiduciato, rumoreggiante, adirato, e fa continuo riferimento al 2000, quando Franco Sensi decise di dare un taglio agli insuccessi e decidere di spendere, portando nella capitale i Batistuta, i Samuel, puntellando la rosa e arrivando a vincere lo scudetto proprio in quella stagione. Eppure Fabio Capello arrivo nella capitale nel ’99, classificandosi, guarda un po’, proprio al sesto posto, che però 13 anni fa valeva l’Europa, a differenza di oggi. Quella Roma aveva una rosa composta da Lupatelli, Antonioli, Campagnolo, Zago, Aldair, Gurenko, Mangone, Rinaldi, Candela, Lanzaro, Petruzzi, Cafu, Zanetti, Assuncao, Di Francesco, Blasi, Tomic, Montella, Totti, Delvecchio, Fabio Junior, con gli innesti a gennaio di  Nakata e Poggi. Quell’anno la Lazio si impose in Campionato, rinfacciando il titolo al tifo romanista, con cori di scherno e tante grasse risate.

Nell’estate di quell’anno Franco Sensi decise di acquistare, puntellare e quindi migliorare la rosa, portando nella capitale, tra gli altri, Cejas ( (“e chi è”, disse Sensi riguardo al portiere sponsorizzato da Balbo), Guigou, Batistuta dalla Fiorentina per 70 miliardi di lire, Emerson dal Bayer Leverkusen per 45 miliardi di lire (22 milioni di dollari), Jonathan Zebina dal Cagliari in comproprietà per dieci miliardi più Lucenti, Walter Samuel dal Boca Juniors per 34 miliardi di lire (19 milioni di dollari) e Balbo di ritorno nella Capitale dopo due anni tra Parma e Fiorentina. Quell’anno la Roma strappò, si, lo scudetto ai rivali di sempre della Lazio, regalando uno smacco senza precedenti al proprio popolo, ma iniziò a raggruzzolare una piccola montagnetta di debiti, che col passare degli anni è lievitata, lasciando in eredità delle perdite voraginose. Tempo fa ne parlò Repubblica, enumerando contenzioso giudiziario di circa 60 milioni di euro con giocatori come Gabriel Omar Batistuta, il quale chiede 9 milioni, Gustavo Bartelt, che chiede anche 9 milioni, la società di marketing “Dls”, in attesa di una cifra di 2 milioni e mezzo di euro, la casa di cura “Villa Stuart”, nei confronti della quale le fatture non saldate arrivavano ad 1,3 milioni di euro, per non parlare del rinnovo dei contratti da 15 mila euro al mese dei giardinieri dei campi di Trigoria (Qui l’articolo integrale).

Ritornando ai giorni nostri, James Pallotta, dopo aver visto con i suoi occhi lo scempio del 26 Maggio, ha l’intenzione di voltare pagina, di investire, di arrivare alla svolta in breve tempo. La sensazione di rinnovamento il Presidente l’ha avviato  accettando il dossier di Baldini e rescindendo il contratto consensualmente, ma non potrebbe fermarsi qui. Le premesse di mercato lasciano presagire un intervento massiccio sulla rosa; la sensazione è che a Trigoria arriveranno giocatori già rodati, assieme ai giovani talenti da svezzare, ma optando per un mix che possa permettere alla squadra di non crollare dal punto di vista psicologico. La Roma non può permettersi di fallire un altro anno, il terzo di fila. La presentazione di questo pomeriggio in quel di New York ha lasciato intendere che il presidente Pallotta ha intenzione di tenere a lungo Rudi Garcia, di puntare su di lui e di aver voluto conoscerlo di persona, per cominciare quella sinergia che negli anni passati è venuta a mancare (sia Luis che il Boemo sono stati scelti dai dirigenti, senza alcun “parere presidenziale”). Dai vertici societari traspare ottimismo: si continuerà a lavorare a tutto spiano, cercando di raggiungere gli obiettivi minimi quanto prima e rispondere con i fatti alle lamentele, spesso anche esasperate, di chi mette in dubbio la genuinità della proprietà e del loro lavoro. Troppe sarebbero le ripercussioni in caso di conseguente fallimento: la piazza diventerebbe ancor più rovente e ostile, la pressione aumenterebbe a livelli legittimamente biblici, per non parlare del conseguente crollo di marketing, merchandising e compagnia, incluso il brand, che come insegnano all’Università vale poco se rappresenta un prodotto non convincente e soprattutto non vincente.

Vi lascio a una considerazione fatta da La voix du Nord (vai all’articolo originale), giornale vicino al Lille:

Nella Città Eterna, i tecnici non rimangono un’eternità. E proprio questo il problema. James Pallotta ne ha già utilizzato tre in due stagioni. La Roma è un club dove si passa dal paradiso all’inferno in meno di 5 minuti: due vittorie e si parla di scudetto, due sconfitte e c’è già una ghigliottina sulla tua testa. Roma è una città dove 10.000 tifosi sono capaci di andare in piena notte all’aeroporto festeggiare la squadra dopo la vittoria di Madrid in Champions League, ma anche radunarsi a centinaia a Trigoria per mettere pressioni sulla squadra. Ecco quello che aspetta Garcia. Il quadro è esplosivo; i tifosi sono furibondi contro la dirigenza; invece di grandi nomi, ecco arrivare Garcia, uno sconosciuto. Intorno alla Roma, la pressione mediatica è fenomenale. Nella Capitale ci sono 6 radio che parlano ogni giorno per più di 6 ore della Roma, le televisioni, un quotidiano dedicato, il Corriere dello Sport che fa 5 pagine ogni giorno, una decina di siti internet. Dei media alla ricerca continua del buzz, dove ogni singola semplice voce si trascina in città alla velocità della luce. Probabile che i dirigenti stiano lasciando qualche giorno ai media per informarsi su Garcia per evitare che sia ancora un totale sconosciuto il giorno della presentazione. La scorsa settimana, Rudi Garcia ha accorciato la sua vacanza in Marocco per incontrare i dirigenti romani. Secondo una fonte spagnola, avrebbe spiegato ai leader del Malaga, che la Roma era la Sua Priorità. Le dimissioni di Franco Baldini, lo stesso giorno, hanno anche giocato a suo favore, perché il Dg voleva Laurent Blanc.

C’è una stagione da preparare ed aggredire, perché quest’anno, più che mai, le chiacchiere stanno a zero. C’è un nome da riportare in alto dopo diversi anni di buio, che sia prima o che sia dopo l’arrivo della nuova presidenza poco importa. Roma merita di vincere.  Adesso è l’ora dei conti.  Lasciamo da parte le preferenze: l’allenatore c’è, il mercato prende il largo e una stagione di riscatto è alle porte. Che sia l’anno buono, senza se e senza ma, per tutti. In bocca al lupo, monsieur Garcia.

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