LA REPUBBLICA (E. SISTI) – Ci vorrà del tempo prima che ritrovi il ritmo gara. Ma un grande attaccante sa sempre dove mettersi, intuisce la giocata del compagno, anticipa il movimento dell’avversario, crea uno spartiacque fra il pareggio e la vittoria. Non ci si dimentica mai di essere forti sotto porta. È genetica, non tecnica: o la porta la vedi quando sei ancora nella pancia di mamma o non la vedrai mai. Sono una razza a parte, una razza privilegiata. «Sono felice per te», ha twittato Gervinho dopo avergli offerto l’assist per ritrovare la luce.
L’ultima partita Mattia Destro l’aveva giocata contro la Norvegia in U21: era l’11 giugno. Con la Roma s’era fermato al derby di finale di Coppa Italia: era il 26 maggio. S’era fatto male il 23 gennaio contro l’Inter in Coppa. Tre giorni dopo s’era operato al menisco: «Un mese e sei a posto», gli promettono. Torna in campo ma non è guarito, anzi peggiora. Controlli a Barcellona. Il suo ginocchio sinistro continua a gonfiarsi. Pare allagato dal liquido sinoviale. C’è di mezzo una cartilagine? I tempi si allungano e il mistero s’infittisce. I giorni passano, sono tetri, pieni di nuvole. Se sta male un calciatore il sole se lo deve immaginare. Finché non si accorge che Gervinho ha bisogno di lui. Dopo quattro pareggi e almeno una forte crisi d’identità collettiva, ieri non ha vinto soltanto la Roma. Ieri ha vinto anche Mattia Destro, il “lupo” che non c’era. Garcia aveva chiesto «undici lupi» per affrontare il “fuoco” della Fiorentina di Montella. S’era dimenticato il dodicesimo. E ha vinto pure Totti che è tornato in panchina. Il tredicesimo lupo.
La Roma tiene il passo della Juve e mette 10 punti fra sé e i viola. I giallorossi cominciano a testa bassa, aggrediscono. I viola faticano a ripartire, non riescono ad arginare le sovrapposizioni sugli esterni. Tomovic è sotto farmaci perché Gervinho è irrefrenabile. Al 7’ l’ivoriano ubriaca anche i raccattapalle e crossa corto in mezzo, sponda di Florenzi, Maicon (cui Totti aveva detto: «Oggi ne fai due!») si passa la palla dal sinistro al destro e brucia Neto. Roma in vantaggio. Potrebbero arrivarne altri due (De Rossi di testa all’11’ e Gervinho al 26’). Dopo venti minuti di morsi la Roma rallenta e s’abbassa. Garcia forse non approva. Si punta al contropiede. La Fiorentina guadagna 15 metri. Maicon s’addormenta su un facile disimpegno aereo, l’azione viola riparte sull’altro fronte, Ljajic, Dodò e Strootman si perdono Tomovic e Vargas pareggia (1-1). Discreta partita ma a tratti due grandi squadre. La Fiorentina lavora più sul possesso palla, la Roma è più cauta (non brillano Ljajic e Florenzi). Poi una seconda, formidabile fiammata nel secondo tempo. In cinque minuti la Roma sbanca il tavolo. Palo di Strootman, azioni avvolgenti, a ripetizione, Neto ha cento mani, Gervinho è il capobranco dei lupi invocati da Garcia, sempre il primo a mostrare i denti. Entra Destro (12’ st). Mentre trotterella e riprende coscienza di sé, cade vittima di una visione sulla via di Gervinho: taglia l’area con Pasqual attaccato alle scapole e arriva primo sull’imbucata del devastante compagno. Il suo gol scardina tante cose. La Fiorentina smette di crederci anche dopo l’espulsione (ingenua) di Pjanic. La corsa liberatoria di Mattia verso la panchina è la scena madre di un film. Ma più che Tom Cruise o Dustin Hoffman sembra Jean Pierre Léaud che alla fine dei Quattrocento colpi di Truffaut corre a perdifiato per toccare il mare, che non aveva mai visto. Forse ieri è stata la prima volta del nuovo Destro e quel gol è stato il suo mare. Destro può essere un acquisto fondamentale per la Roma («ci siamo anche noi che non siamo costruiti per vincere lo scudetto», ha detto Garcia), e per Prandelli. A torso nudo è andato ad abbracciare il suo mondo (la panchina è il classico mondo a parte), dalla pelle ha grattato via la sofferenza e le paure. E si è beccato la più dolce delle ammonizioni.