Ennesima occasione sprecata, ennesimo flop generale. Adesso serve il pugno duro

Ennesima occasione sprecata, ennesimo flop generale. Adesso serve il pugno duro

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de rossiLa partita della vita, la maledizione del numero 9, il riscatto mancato. Con questa partita la Roma dice addio all’Europa, rimanda il discorso stella d’argento, è impossibilitata a giocare la Superocoppa Italiana e soprattutto perde l’occasione per risollevare le sorti stagionali. Ancora un anno senza Europa per la Società americana, sempre aspettando la sentenza sul calcioscommesse che il Tribunale esaminerà tra qualche settimana, ancora una volta a venire meno sono stati i giocatori simbolo, coloro che dovrebbero prendere per mano la squadra e portarla al successo. Mentre il 26 Maggio si continua a rivelare un portafortuna per i colori biancocelesti, la Roma è costretta a leccarsi le ferite e sterzare subito per programmare la Stagione 2013-14, senza scommesse, senza sé e senza ma, mettendo dei paletti fissi, a cominciare dal ruolo cardine, l’allenatore. Anche nella giornata di oggi, infatti, si è potuto notare quanto sia mancato l’apporto di un uomo esperto sulla panchina: la Roma ha combattuto bene per una sessantina di minuti, senza però mai andare oltre il “compitino”, senza osare, senza aggredire davanti, senza un cambio tattico più ragionato. Sulla sinistra Balzaretti dal 1′, dopo il finale di stagione più che positivo di Dodò; Osvaldo lo rileva solo al 75° minuti dal fischio finale, neanche il tempo di prendere contatto con la partita; Marquinho, uno dei migliori in campo per la Roma, fuori al’82° per Dodò, e basta, nessun altro cambio. De Rossi resta nel rettangolo verde per tutta la partita, nonostante una prestazione decisamente negativa, come le ultime partite disputate in campionato, e termina la stagione con la media voto più bassa del centrocampo giallorosso; Pjanic resta in panchina, perché sono solo due i cambi fatti da Aurelio, che per non scontentare la piazza preferisce non vincere la partita, o almeno provarci.
Di fronte, una squadra organizzata, un gruppo rodato che ha cambiato poco in sessione di mercato, che se avesse avuto qualche pedina in più nella sessione invernale non avrebbe sofferto nel girone di ritorno. Sulla carta una squadra nettamente inferiore alla Roma, che però manca di amalgama e quindi di allenatore, perché è proprio la figura del tecnico che deve portare compattezza e rendere affiatato il gruppo, che deve diventare un tutt’uno in campo contro chiunque.
La Roma termina la Stagione nella stessa maniera in cui è iniziata, nonostante sia arrivata in Finale di Coppa Italia, ma perdendo praticamente sempre per errori propri, come successo contro il Chievo (in casa e fuori), il Bologna, l’Udinese, il Cagliari, il Palermo. Errori esattamente come quello di questo pomeriggio commesso dall’evanescente Balzarett, che è assente sul proprio palo e permette a Lulic di insaccare il diagonale maldestro dalla sinistra, dopo che Marquinhos ha provato un impossibile recupero in girata. La Roma perde la Coppa Italia e addio salva-faccia. Troppi errori tutti in un’annata che risalgono sempre allo stesso problema: l’assenza di una guida tecnica dal pugno duro, cosa che manca da troppo tempo in casa romanista e che la dirigenza ha ben compreso, non oggi, ma qualche mese fa.
PAGELLE
Lobont 5: Bravo con quel colpo di reni a salare sul colpo di testa di Klose. Ha sulla coscienza il gol di Lulic, tutt’altro che irresistibile, che decide il match. Inutile prendersela con lui, si aspetta l’arrivo di Rafael, un portiere dal futuro assicurato.
Balzaretti 4: Inguardabile, ingiudicabile. Inconcepibile vederlo in campo dal 1′ minuto in luogo di Dodò, che tanto bene aveva fatto nel finale di campionato. Lascia tutto il campo necessario a Candreva, che tra l’altro mette in mezzo il pallone che vale il vantaggio laziale.
Castan 5,5: Prova a impostare nel primo tempo il gioco partendo da dietro, si trova bene con Burdisso e si vede. Alla fine Lulic riesce a bucare Lobont, colpevole nell’occasione per non essere in posizione, ma Castan non è esente da colpe, essendo fuori posizione nell’occasione.  
Burdisso 5,5: Nessun errore evidente, prova a tenere concentrata la linea difensiva ma . Annulla prima Klose e poi Hernanes, ma non basta, perché si fa prendere di sorpresa in occasione del gol assieme a Castan. 
Marquinhos 6,5: 19 anni compiuti da poco ma gioca come un trentenne. Sempre le stesse frasi per lui da quando ha giocato la prima partita da titolare. Si invola più volte in fase offensiva, arrivando a mettere un buon cross sulla testa di Destro che finisce di poco alto. Nulla può in occasione del gol, con Lobont nell’occasione che gli fa perdere il tempo dell’intervento.
Marquinho 6: Parte a cannone, la fascia è sua e si vede, con le folate offensive, e mantiene alta la lucidità per quasi tutti i 90 minuti di gioco. Troppo lontano Destro, davanti, manca Totti come appoggio. Viene tolto dal campo all’82° per Dodò, si spera sia stata una scelta condivisa col giocatore per motivi di tenuta atletica, ma si immagina si tratti di scelta tecnica.
Bradley 6,5: Unico centrocampista stagionale della Roma a mantenere continuità di rendimento. Costretto a lavorare per due in mezzo al campo, complice la consueta condizione fisica precaria di De Rossi, si danna l’anima nei primi 45 minuti di gioco. Nel secondo tempo soffre la stanchezza, come è logico che sia, ma Andreazzoli non gli mette a fianco nessun giocatore che gli possa dare una mano, preferendo far giocare DDR per tutti i 90 minuti. Chi parla di flop, riferendosi a Bradley, non è affatto obiettivo.
De Rossi 3: Due ripiegamenti difensivi nei primi minuti della partita e poi solo errori, affanni e camminate. Mai al centro della manovra, soccombe contro il centrocampo avversario. Non è il De Rossi di un paio di anni fa, non è un giocatore da 6 milioni netti a stagione. Non è fondamentale, e questo dovrebbe farlo preoccupare. Il tanto criticato Tachtsidis, ostracizzato per il solo fatto di essere stato preferito da Zeman in luogo del numero 16, ha più grinta, più compattezza fisica e tra l’altro ha anche segnato, quest’anno. Per non parlare di Bradley, che lo ha surclassato in quanto a rendimento quest’anno.
Lamela 4: Nelle ultime prestazioni è stato spesso bocciato per il suo essere tanto fumo e poco arrosto. Oggi il cielo era abbastanza terso, figuriamoci. Dovrebbe essere l’arma in più, si rivela un handicap quasi ai livelli di De Rossi.
Destro 5,5: Lasciato solo in avanti da Totti e Lamela, viene quasi sempre anticipato o bloccato dai centrali laziali. Lotta, combatte, recupera palloni, prova a smistare e dare vita ai movimenti d’attacco, ma predica nel deserto.
Totti 4,5: Non corre più, come da diverse partite, è sempre nervoso, prova la conclusione con insistenza ma non centra mai lo specchio della porta. Il giovane Onazi gli complica la vita per tutto il match, avendo la meglio su di lui.  Un leader carica la squadra, la tiene sull’attenti, gli fa capire con le buone o con le brutte cosa sia la cattiveria agonistica: questo oggi non si è visto.
(Osvaldo sv: 15 minuti sono pochi per lui. Chiede spesso ad Andreazzoli di farlo entrare, ma riesce nell’intenzione solo a pochi minuti dallo scadere.)
(Dodò sv: fuori dall’11 iniziale, entra a 10 minuti dalla fine ancora non si sa con quali compiti)
Andreazzoli 4: La Roma non osa, Andreazzoli non vuole pescare il jolly nel mazzo e riesce a fare centro. Mette Osvaldo a un quarto d’ora dalla fine, Dodò all’82°, brucia un cambio tenendo in campo giocatori non all’altezza. Osare nel calcio è vitale, quando sei 0-0 in una partita che ti può risollevare le sorti di un’annata storta devi farlo, senza se, senza ma. Chi ha paura non va da nessuna parte, e oggi ne abbiamo avuto l’ennesima prova. Non è un allenatore, e questo lo si sapeva, è stato messo a vestire quei panni per cercare di tamponare fino alla fine, conoscendo i giocatori ed essendo confidente con i veterani del caso. Alla Roma serve un sergente di ferro, e serve mantenerlo, anche e soprattutto se dovesse fare scelte importanti: deve essere lui a comandare, nessun’altro.  
Una partita non aggredita, una partita giocata di rimpiattino, reagendo agli attacchi laziali, ma senza zampate, senza occhi della tigre, parafrasando Rocky, senza quella cattiveria agonistica, vitale per uno sportivo, che abbiamo visto negli occhi di Marquinhos, fresco 19enne all’esordio in Italia quest’anno, ma non da De Rossi, 30 anni il 24 Luglio per lui e una vita nella Roma, non da Lamela, diventato stucchevole con i suoi giochi di prestigio e che evidenzia una volta di più la mancanza di bastone e carota. Non si salva nemmeno Francesco Totti, no non avete letto male. Ci prova da fuori una, due, tre volte, ma non riesce quasi mai a centrare lo specchio della porta. Le ripartenze contro una squadra come la Lazio devono essere rapide, passaggi in orizzontale e via, allargare gli spazi, mentre invece lui insiste col venirsi a prendere la palla a centrocampo rallentando la manovra. Da quando il suo amico-maestro Zeman è andato, anche lui si è appassito col passare dei giorni, e non è un’eresia. E’ finito il tempo delle giustificazioni, per tutti, per tutti, indistintamente. Si salvano solo coloro che hanno sempre messo il cuore davanti l’ostacolo, al di là dell’avversario, come Marcos, leader assoluto della difesa, e Michael Bradley, cresciuto sempre più nel corso della stagione, fino a diventare l’inamovibile del centrocampo. Inutile far risalire la colpa alla dirigenza, quando giocatori dal potenziale immenso potrebbero fare faville, vincere partite da sole e condurre alla gloria. Inutile fare la caccia al colpevole, ma anche al capro espiatorio: l’assenza di un allenatore è tangibile, lo si vede in campo, ma nel momento in cui talenti si comportano come novizi forse è il caso di riconsiderare il tutto.
La piazza nella passata stagione non ne ha perdonata una a Luis Enrique, colpevole di giocare con la difesa troppo alta, esporsi troppo a rischi inutili, ma che in realtà non è stato benvisto dal suo primo giorno a Trigoria. Perché? Perché a Roma si vuole il nome, si è arroganti, ci vuole il “tutto e subito”, un po’ i discorsi che si facevano all’epoca con Spalletti, quando venne bollato in partenza come non all’altezza, cosa poi puntualmente smentita dagli stessi supporters. E’ strano trattare certi argomenti, certe interpretazioni: non abbiamo di fronte una squadra che negli ultimi 33 anni ha vinto 6 scudetti, 3 Coppe dei Campioni, 4 coppe Italia, 2 Intercontinentali e 2 Europa League…eppure i trofei vinti sono stati 11, di cui uno Scudetto, tre Supercoppe Italiane e 7 Coppe Italia, ultima delle quali conquistata nel 2008 e che resta l’ultimo successo nella storia giallorossa.
Perché parlare di Luis Enrique? Allenatore giovane, propositivo, ben visto nel panorama del calcio europeo, preparato, che è riuscito a tirare fuori qualcosa da una squadra rasa al suolo, composta di elementi nuovi, a parte i “veterani”, tra virgolette perché non si sono rivelati tali in campo, a parte Totti che quest’anno con Zeman ha fatto grandi cose, ma una volta via il boemo si è lentamente eclissato.
Il discorso di Luis Enrique vuole essere anche e soprattutto una provocazione. Jurgen Klopp, il tanto osannato allenatore del Borussia Dortmund, tanto da guadagnarsi l’appellativo di Mago, è arrivato nel club giallonero nel 2008 dal Mainz: primo anno tredicesimo posto, con una squadra rivoluzionata quasi completamente. Col passare degli anni, per la precisione 5, è arrivato il successo in campionato, dopo aver costruito mattone dopo mattone una macchina praticamente perfetta.
forzaromaUna cosa che contraddistingue il tifo giallorosso è il giudizio, il chiacchiericcio, il “te l’avevo detto io”. Questa è la piazza che ha cacciato Carlos Bianchi per aver solo pensato di cedere in prestito Totti alla Sampdoria, non per il piazzamento finale; questa è la piazza che ha cacciato Zeman per aver avuto l’ardire di togliere De Rossi dall’undici titolare, non per i gol subiti; questa è la piazza che ha voluto via Luis Enrique, perché era stato scelto da Baldini, criticato e giudicato non all’altezza se non addirittura colpevole per il solo fatto di non essere ben visto da certa gente che, purtroppo, dice di far radio, ma non riesce in nient’altro che separare il tifo, creare dissidi e dar vita a tanti piccoli esperti di economia, marketing, design, architettura ed ingegneria. Per maturare e voltare pagina, da questo punto di vista, serve la svolta, che solo la dirigenza può dare, con input ben precisi e con finalità preposte, dato che è controproducente investire su un progetto spendendo soldi e restare fermi senza vittorie. Da domani inizia una nuova era, una fase di concretezza ma soprattutto di orgoglio. Un’era all’insegna del tifo per la Roma, per i colori, per la maglia, costi quel che costi, vada come vada. Inizierà un epoca di ripristino degli antichi valori, quando la gente andava allo stadio per tifare, quando la gente amava la squadra, anche se perdeva, con il cuore, non con l’interesse o con chissà quali complotti. Quando si gridava tutti insieme FORZA ROMA, si sosteneva e si lottava, al di là del risultato finale. Ma c’era l’orgoglio. L’orgoglio di essere romanista, in campo come sugli spalti o sul divano o ovunque. L’orgoglio di vedere una curva compatta, piena, giallorossa, sempre.
Una nuova era: non una rivoluzione, ma un’evoluzione. Sempre accanto alla nostra Roma.
asroma

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