IL GIORNALE – T. DAMASCELLI – Frase da repertorio: il derby è una partita a s´. Quello di Roma, poi, non ne parliamo nemmeno, roba che Orazi e Curiazi erano dilettanti. Effettivamente Roma-Lazio, partita di domani all’Olimpico, è davvero un’altra partita, questa precisamente. Perch´ la situazione è da commedia calcistica all’italiana. Dunque la Roma ha trentotto punti in classifica, è reduce da quattro gol subiti a Bergamo contro l’Atalanta con annesse alcune scorie sul caso De Rossi, rispetto allo scorso campionato la squadra ha quattro punti in meno in classifica, la stagione cui si fa riferimento segnò il licenziamento di Claudio Ranieri dopo venticinque partite e una sconfitta brutta a Genova, con la promozione di Vincenzo Montella, mentre la società era in difficoltà, la presidenza di Rosella Sensi discussa da tutti, le voci di un cambiamento urgente del management erano sollecitate da radio, giornali e dalla banca di riferimento, Unicredit. Ma nonostante il deficit di classifica e problemi di disciplina interna (Osvaldo, Lamela, De Rossi) e mugugni per il contratto sontuoso garantito allo stesso De Rossi, l’allenatore spagnolo Luis Enrique è intoccabile, non è l’uomo del presente ma del futuro, il suo modo di intendere calcio è una novità (non si sa bene in che senso), gode di massima stima dei suoi dirigenti, Baldini&Sabatini, dei colleghi, dei calciatori giallorossi, dei tifosi, manca soltanto la benedizione di Joseph Ratzinger e poi la beatitudine sarà totale.
Di contro la Lazio è terza in classifica, ha un allenatore che ha rassegnato le dimissioni con telegramma ma le ha fatte rientrare dopo caffè e pacca sulle spalle ma la casa del Grande Fratello laziale ha due nuovi inquilini in attesa, Zola e Casiraghi, parenti serpenti, vicini di ballatoio, pronti a subentrare nel domicilio del friulano, insomma una gag tutta de noantri. Proseguo: la Lazio ha un direttore sportivo, Tare, che ha sbagliato la campagna acquisti anche se ha portato due tipi come Klose e Ljulic ma è contestato dallo stesso allenatore, ha un presidente, Lotito, che è preso in giro dal resto del mondo. Eppure la Lazio è terza, ha vinto il derby di andata, mantiene una posizione di classifica, la stessa nel punteggio (45) dello scorso anno, comunque incredibile per i mille infortuni e le magagne di casa, dunque Edoardo Reja, a differenza del suo collega spagnolo, sa benissimo di avere chiuso, sa benissimo che il futuro, il progetto, il football nuovo per lui non contano, balle, sciocchezze alle quali non crede nessuno, ovviamente se l’altoparlante è biancazzurro.
Il derby dovrebbe servire a chiarire l’equivoco? Per niente affatto. Anzi, paradossalmente, se Reja dovesse vincere di nuovo il derby, saprebbe che l’impresa sarebbe inutile, lui non buca il video, non spaccia football, non ha l’Ipad in panchina, non ha supporti mediatici anzi li manda tutti a dar via l’organo. Ad allenatori invertiti Luis Enrique sarebbe già rientrato al sito di origine, con orejas basse e senza ovaciones, mentre Reja sarebbe sicuro del posto fisso, confortato dall’articolo 18 che la Roma sta applicando per intero. Ovviamente trattasi di provocazione ma è anche la lastra radiografica di una città nel pallone, esaltata e depressa nel giro di un paio di partite, alla ricerca del tempo e dei campioni smarriti.
La nuova Roma, per confermare il concetto, ha bisogno assolutamente di Totti e di De Rossi perch´ il resto è fuffa, cioè propaganda. Così come la Lazio senza Klose è a scartamento ridotto, ogni tanto stimolata da Hernanes che però ha atteggiamenti a volte pigri.
Ho usato apposta l’aggettivo che era stata l’etichetta appiccicata da Baldini a Totti con polemica a contorno. Il totale della vicenda è che soltanto i protagonisti, cioè i calciatori, tengono in vita il calcio, la partita, le emozioni del popolo. Dirigenti e allenatori passano, fanno cronaca e non sempre storia. Capita poi che nella nuova Roma, che comunque stuzzica la curiosità, sia ancora da definire l’identità del presidente. Oggi sono due, anzi uno, anzi nessuno. Per fortuna domani pomeriggio il pubblico allo stadio e quello davanti ai televisori non guarderà la tribuna ma il campo.
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