ESCLUSIVA, Jordi Prats Roigé (istruttore scuola calcio): “Vi spiego il segreto della...

ESCLUSIVA, Jordi Prats Roigé (istruttore scuola calcio): “Vi spiego il segreto della cantera. Luis Enrique è un grande motivatore, con Bojan serve ancora pazienza”

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Dici cantera e pensi al Barcellona e ai fenomeni cresciuti nella Masìa. Ma non solo: prendete l’Athletic Bilbao, che per la sua filosofia ‘autarchica’ deve far di necessità virtù e puntare tutto sul settore giovanile, per poi arrivare a sfornare giocatori eccellenti (gli ultimi, in ordine di tempo, giusto per citarne alcuni, Llorente, De Marcos e Muniain). Prendete poi le nazionali spagnole: quella maggiore domina, ma anche le giovanili non stanno di certo a guardare. Qual è il segreto di queste fabbriche di talenti in serie? Abbiamo provato a capire come viene formato il calciatore fin da quando inizia a toccare il pallone, e per questo ci siamo rivolti a Jordi Prats Roigé, che dopo una discreta carriera nelle divisioni inferiori si è laureato in scienze dell’educazione fisica (l’equivalente del nostro ISEF) ed ha lavorato come istruttore di scuola calcio nella squadra catalana dell’Unió Esportiva Tárrega, allenando bambini dai sette ai dieci anni.

Come si lavora con i bambini e come si aiuta a farli crescere?
“Innanzitutto, occorre fare una distinzione. Nelle grandi squadre è molto facile lavorare anche a livello giovanile, in quelle minori è diverso. Si parte da un livello basso e dobbiamo operare anche dal punto di vista psicologico oltre che tecnico. Io ho sempre cercato innanzitutto di far lavorare molto i bambini col pallone, ma occorre anche trasmettere l’amore per questo sport. Il bambino va seguito sempre nella sua evoluzione, per esperienza personale ho visto ragazzini crescere in maniera impressionante da un anno all’altro. Il bambino va anche motivato a restare concentrato sullo studio, perché sono pochissimi quelli che riescono poi a raggiungere i vivai di squadre di alto livello”.

Qui in Italia è stata la Roma a proporre l’introduzione di squadre ‘B’, mentre il ct Prandelli vorrebbe una nazionale Under 21 nel campionato di serie B. Perché non si riesce a valorizzare i giovani come in Spagna?
“Non conosco con esattezza il sistema italiano. Una volta ebbi l’occasione di seguire un corso tecnico a Coverciano ma poi rinunciai. Posso però dirvi che uno dei segreti del successo del sistema giovanile spagnolo è che in quasi tutte le squadre i bambini iniziano a giocare con lo stesso modulo della prima squadra. In questo modo, il ragazzo che arriva in prima squadra si adatta subito ai meccanismi di gioco, essendo abituato da anni. Per questo il Barcellona, ad esempio, sforna giovani talenti a ripetizione. Per loro, una volta arrivati in prima squadra, è tutto molto facile.
Le squadre riserve in Spagna comportano vantaggi e svantaggi: da un lato, far giocare ragazzi di 16 anni contro dei trentenni può aiutare molto la crescita, ma non mi piace molto vedere giovanissimi talenti fermati a calci da giocatori maturi ma di livello tecnico inferiore”.

La Spagna si è affermata molto tardi: è cambiato qualcosa rispetto a 15-20 anni fa?
“È cambiato il sistema delle giovanili. I club hanno iniziato ad investire molto di più sui preparatori e sugli osservatori. La mia città, Reus, è un piccolo centro eppure lì il Barcellona, pochi anni fa, ha scovato talenti come Cuenca o Sergi Roberto. Quando avevo 10-12 anni, agli inizi degli anni ’90, inoltre, si gareggiava solo a livello provinciale e il tasso tecnico non era altissimo: se eri una squadra forte, vincevi facilmente e non c’era grande competizione. Solo a 15-16 anni si iniziava a giocare a livello regionale, in tutta la Catalogna, e lì potevamo misurarci con altre squadre forti e crescere davvero. Le cose poi sono cambiate: oggi i ragazzi iniziano a giocare a livello regionale e con promozioni e retrocessioni già a 11 anni, e invece di misurarsi con la squadra del paesino vicino, incontrano anche squadre come il Barcellona o l’Espanyol, e questo aiuta moltissimo la crescita. Questo è indubbiamente un vantaggio, ma personalmente credo che a quell’età i ragazzi siano ancora troppo piccoli per lottare per degli obiettivi. Psicologicamente può aiutare la formazione, ma potrebbe anche rivelarsi controproducente. Personalmente, alzerei l’età ai 13-14 anni nel sistema giovanile con promozioni e retrocessioni”.

Un’altra differenza che si nota tra le giovanili italiane e quelle spagnole è che in Italia si lavora sul fisico e in Spagna sulla tecnica…
“È vero. Sin dai primi anni di scuola calcio qui si lavora moltissimo col pallone, sia tecnicamente che tatticamente. Tutti gli istruttori, a qualsiasi livello, tendono ad affinare la tecnica di base. Sul fisico si lavora solo dopo qualche anno, perché qui l’obiettivo è di formare ragazzi competitivi dal punto di vista tecnico-tattico. Il fisico, dai sette ai 13 anni, è considerato di per sé già un vantaggio e chi è svantaggiato deve compensare con la tecnica di base”.

La Roma ha preso Luis Enrique: è stata una scommessa e un tentativo di cambiare qualcosa in un calcio molto particolare e diverso da quello spagnolo.
“Credo che Luis Enrique sia un buon allenatore. L’anno scorso col Barça B aveva centrato la promozione nella Liga, una cosa del genere non si era mai vista! È vero che aveva giocatori di un tasso tecnico elevato, che si sono inseriti alla perfezione anche nel Barcellona di Guardiola, ma il lavoro di Luis Enrique è indiscutibile. Sono convinto che lui sia un grande motivatore, perché senza la determinazione e il coraggio non si va da nessuna parte. La seconda divisione spagnola è un campionato difficile e duro, dove nessuno ti concede nulla e i giocatori non fanno complimenti a nessuno. Se ragazzi di 18 anni sono riusciti a farsi valere nonostante le tante botte prese sin dall’esordio nella categoria, il merito è indubbiamente di Luis Enrique e del suo staff”.

Si parla tanto di Bojan: è molto discontinuo e fa vedere il suo talento solo a tratti, la giovane promessa del Barcellona non si è ancora vista del tutto.
“Serve molta pazienza con Bojan, ma il livello tecnico è indiscutibile. A volte i giovani del Barcellona sono idonei solo al gioco del Barcellona; mi spiego meglio: il sistema di gioco del Barça è stato perfettamente assimilato da Bojan nel corso degli anni, come ho già spiegato, e quindi il ragazzo forse non potrebbe adattarsi ad altri sistemi. È vero, Luis Enrique gioca in maniera simile al Barcellona, ma il campionato italiano è molto particolare e per un giocatore giovane come Bojan serve parecchio tempo per adattarsi. La serie A è un campionato diverso da tutti gli altri e differisce molto anche dalla Liga. Ci sono tantissimi giocatori spagnoli che in Italia hanno più o meno fallito (ad esempio, Laudrup, Stoichkov, De La Peña, Mendieta) e moltissimi italiani che non si sono espressi ai loro livelli né in Spagna (ad esempio, Di Vaio, Zambrotta, Cassano) né in altri campionati (come Barzagli in Germania o Aquilani a Liverpool). Il campionato italiano è strano, forse non lo capirò mai: secondo me, è paradossale che fenomeni veri abbiano fallito e giocatori normali magari siano stati grandi protagonisti”.

Un altro spagnolo giunto quest’anno è José Angel: anche lui è stato protagonista di alti e bassi…
“Non lo conosco moltissimo, a dire la verità. L’ho visto giocare solo qualche volta con lo Sporting Gijon e credo che sia stato pagato eccessivamente, nell’Under 21 non era neanche titolare perché giocava Didac. Il mio giudizio, però, è molto superficiale perché non l’ho seguito molto”.

Chiudiamo parlando di te: cosa fai attualmente? Hai progetti futuri?
“Dopo la laurea, mi sono specializzato e sono diventato prima preparatore atletico e poi allenatore. Sono tornato a Reus, la mia cittadina, e sono maestro di educazione fisica in una scuola. Sto progettando di creare una scuola calcio tutta mia: è difficile, la crisi qui ha colpito duro, ma è un mio sogno e intanto si tira avanti sperando di realizzarlo”.

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