CORRIERE DELLO SPORT – R. MAIDA – La sbarra elettronica si alza, docile come un telepass, e il Suv bianco esce con andatura sicura. Tutto rapido, in verticale, senza possesso palla. E’ ora di pranzo, manca ancora un po’ all’allenamento della Roma, Luis Enrique comincia la quotidiana traversata dall’Olgiata a Trigoria. Con lui l’inseparabile Antonio Llorente, collaboratore e amico oltre che vicino di villa. Saranno 44 chilometri di auto, dal ricco sobborgo a nord della città fino a sud-ovest, nella borgata che ospita la Roma.
Qui, nei 612 ettari di verde e nello sfarzo di un comprensorio vip, blindato 24 ore su 24 dai vigilantes, con gli affitti che possono costare anche 20.000 euro al mese, ha scelto di vivere Luis Enrique. L’Olgiata è famosa in tutta Italia per il controverso delitto della contessa Filo della Torre, avvenuto 20 anni fa, ma in città è conosciuta come un territorio “ostile” ai romanisti. Perché Formello, la casa della Lazio, dista solo 10 chilometri. E così molti giocatori tradizionalmente si sistemano da queste parti, dove si sentono più il nitrire dei cavalli che i cavalli delle automobili. Della Lazio di oggi solo Rocchi (ha acquistato casa) e Klose (appena arrivato in affitto) sono rimasti all’interno dell’oasi. Ma in passato erano molti di più. Compreso Ivan De La Peña, che aveva accompagnato Luis Enrique nell’avventura romana prima di cambiare idea e rientrare a Barcellona.
E’ stato appunto De La Peña a suggerire la soluzione Olgiata. Sia per la privacy garantita da una discrezione assoluta ( «La villa di Luis Enrique? Nessuno sa dove sia» assicurano gli abitanti della zona), sia per la comodità della scuola inglese a cui sono iscritti due dei tre figli, Pacho e Sira: solo pochi minuti di macchina, sulla Cassia. Il suo mondo romano è lontano dal centro di Roma e dal centro della Roma. Ma almeno in questi giorni che l’accompagnano al primo derby, Luis Enrique potrà conoscere meglio la mentalità degli avversari…
IL BAR – «Li faccio io, con le mie mani: li provi, sono speciali» . Tony è siciliano ma da molti lustri si è trasferito all’Olgiata. Il vanto del suo bar è costituito dai cannoli, quelli veri, che si devono prenotare in anticipo perché siano freschi: «Così la ricotta non disturba la pasta sfoglia » . La ricetta deve avere affascinato anche Luis Enrique, che spesso si ferma qui per la colazione. « Ordina cappuccino, sempre » spiega la ragazza dietro al banco con un sorriso complice.
Il «capuccio» , come lo chiama l’allenatore su Twitter, è una specie di mania italiana di Luis. Anche a Trigoria i baristi sanno cosa consumerà, prima ancora che lo chieda. Da Tony, nel centro commerciale pochi metri al di fuori dell’Olgiata, Luis va da solo o con la moglie Elena. E se non deve correre a Trigoria, si rilassa nei tavolini all’aperto. «Io simpatizzo per la Roma – continua il proprietario del bar – ma di calcio capisco poco. Quando ho sentito la prima volta parlare di Luis Enrique, pensavo fosse un cantante… Però poi ho apprezzato il personaggio: una persona educata, cordiale. Non come l’ex allenatore della Lazio che viveva qui. Come si chiamava? ». Delio Rossi? Non ha mai lasciato l’Olgiata dopo l’addio a Lotito:«No, quello che veniva dal Milan ». Zaccheroni.« Ecco. Con lui non c’è mai stato grande feeling, diciamo così. Non era un mostro di simpatia».
IL CIRCOLO – Uno dei più grandi motori di socializzazione è il cane. Quante volte due sconosciuti iniziano a parlare mentre i rispettivi amichetti si rotolano nei prati? E’ successo anche a Luis Enrique e Marzio Pescetelli, gestore di uno dei circoli sportivi che sono nati all’interno del comprensorio dell’Olgiata. Calcio a cinque e tennis, un classico. L’allenatore della Roma ha due cani ( «Mi ha detto che sono di una razza sudafricana» spiega Marzio) a cui tiene tantissimo. Sembra che siano Ridgeback rhodesiani, cacciatori grossi e veloci, a pelo corto. Luis Enrique li porta in un prato vicino alla sua villa, nei pressi dell’ingresso Sud, una specie di punto di ritrovo per i proprietari di cani.
«Luis è un ragazzo a modo – continua il gestore del circolo, che è proprio a un passo – grande appassionato di calcio ma non di tennis. Gli ho chiesto se potesse interessargli giocare da noi, mi ha risposto che non è uno sport per lui. Invece lo vedo spesso in bicicletta. A volte con i figli. Magari si ferma qualche minuto per prendere una bibita e poi riparte». Nella zona c’è anche il ristorante-bar Ribot, intitolato al leggendario cavallo che venne allevato proprio all’Olgiata: è uno dei preferiti di Luis Enrique per la cena. Menu mediterraneo a base di carne e pesce, chef egiziano, prezzo sui 40-50 euro.Tra i padroni, i fratelli Pizzichini, c’è un tifoso laziale: non mancheranno le battute, nei prossimi giorni.
I VIGILANTES – «Se è venuto per l’allenatore della Roma, non voglio comparire: io sono tifoso della Lazio, figurarsi» . Il vigilante dell’Olgiata, occhiali scuri e chewing-gum, chiede a modo suo di restare anonimo nel parlare di Luis Enrique. L’incontro avviene all’ingresso principale del comprensorio, quello più vicino a Formello. Una specie di checkpoint: per entrare nel mondo dorato devi avere referenze precise e un invito ancora più preciso. Non è detto che sia sufficiente, peraltro. In alcuni casi i vigilantes telefonano ai condomini per verificare se qualcuno bara.
E anche dopo aver dato l’ok, annotano la targa dell’auto che entra. Non si sa mai. «Vediamo Luis Enrique tutti i giorni – continua la sentinella dei ricchi – a volte esce in macchina, altre in bicicletta, una specie di mountain bike. E ora chiedete a lui, che è romanista…». Raffaele, l’altra guardia, piuttosto indaffarato all’interno di questa piccola sala operativa, sorride al collega: «Qui abita anche l’assistente di Luis Enrique, quello con la mano fasciata». Antonio Llorente, il mental coach: si è infortunato proprio cadendo dalla bici. Ma non ha smesso di andarci. Lo ha fatto anche nel weekend, insieme con Luis, tra il parco di Martignano e il lago di Bracciano.
Ma De La Peña che fine ha fatto? «Non lo vediamo da un po’». Nemmeno la Roma: «La casa non ce l’ha più». Il vecchio Ivan l’ha vissuta per pochi giorni, prima della crisi di identità.