CORRIERE DELLO SPORT – A. SANTONI – Come si dice Daniele De Rossi in inglese? Steven George Gerrard, ma senza barba però.
Siamo riusciti a non perderci dietro al gran turbinare tattico del romanista, in questo Europeo, e, prima ancora, nella stagione giallorossa, sotto la guida di Luis Enrique, con quel salire e scendere tra metà campo e difesa che adesso è diventato uno dei temi caldi in azzurro, quando si parla di calcio. A mettere tutti d’accordo, noi per primi che restiamo fedeli all’idea di un De Rossi vicino alla porta avversaria più che a quella propria, ci aveva pensato un paio di giorni fa Prandelli: «De Rossi è un universale, elemento che non può essere limitato dal ruolo ma che può giocare a tutto campo, facendo la differenza, basta che lo voglia». Questa in sintesi la nota biografica aggiornata proposta dal commissario tecnico, su misura per il romanista. Che ieri ha ringraziato, e ha allargato il concetto, prendendo in prestito l’esempio più immediato e più qualificante: quello del suo mito personale, e non solo il suo, il capitano dell’Inghilterra e bandiera del Liverpool, Gerrard. «Le parole del ct mi hanno fatto molto piacere. Significano stima e grande fiducia, e lo ha dimostrato mettendomi in difesa contro quel tipo di avversari, nella prima partita contro la Spagna… Mi piace molto il concetto di universale. Del resto il mio idolo di sempre è il simbolo del giocatore universale: Gerrard. Lo trovi in difesa, poi a centrocampo, e in ogni azione in area lui c’è. Certo, alla base di tutto ci deve essere la condizione fisica. Se sto bene fisicamente come adesso è una cosa molto interessante da interpretare».Era, questa, anche la visione di Fabio Capello, che De Rossi lo ha “costruito”: «Gli devo praticamete tutto. Meno male non ci sarà lui in panchina. Tra noi e l’Inghilterra sarà una guerra di nervi».
QUESTIONE DI FEELING – Per Capitan Futuro, ammettere di avere come fonte di ispirazione “uno che non ha mai camminato da solo”, sotto braccio al calore ardente di Anfield Road, è un bel segno di coraggio. Anche perché il fenomenale centrocampista di Whiston, il giorno di quel maledetto Roma-Liverpool, compiva giusto 4 anni, essendo nato appunto il 30 maggio, con Daniele non ancora arrivato alla prima candelina. «Non c’è Italia-Inghilterra che potrà cancellare quella ferita» Che domenica a Kiev si troverà di fronte, per la prima volta con la maglia della nazionale inglese proprio Gerrard. Due normolinei di ferro, intorno al metro e 85 per 80 chili di peso forma, atleticamente più forte l’inglese, anche in area, più geometrico l’azzurro. Due strepitosi interpreti del calcio europeo. Con una punta di rimpianto, il giallorosso ha anche ammesso che questo tipo di sfida lui a un certo punto avrebbe potuto anche viverla durante la stagione, in Premier League, se avesse accettato di cedere all’«attrazione» di un calcio, quello inglese, che ha ai suoi occhi tanti motivi per essere preferito a quello italiano (stesso discorso fatto per la Liga spagnola): «Non c’è stato solo il City, ma anche altri club il cui nome non è venuto fuori» si è spinto a dire il romanista. Sicuro però che i due non avrebbero giocato insieme. Di Gerrard o di De Rossi ne basta uno. Da parte sua l’azzurro ha spiegato, sulla storia del ruolo: «Non so se contro l’Inghilterra giocherò in mezzo o dietro. Per altro non pensavo di adattarmi con tanta facilità a quella nuova posizione arretrata. Il fatto è che qui il mio ruolo è coperto dal uno dei più grandi centrocampisti della storia italiana, Pirlo. Quindi è giusto adattarsi, senza fare le bizze. Poi decide l’allenatore».
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