LA REPUBBLICA – F. BOCCA – Sempre più indietro, perché sui suoi piedi tutto finisca e tutto ricominci. Questo è un lavoro – quello del difensore centrale, quello che un tempo Brera avrebbe chiamato il libero – che Daniele De Rossi non si sarebbe mai sognato di fare da ragazzo. Cominciò infatti giocando da attaccante col numero 9 nell´Ostiamare e lo fece fino a quando arrivò nelle giovanili della Roma, fino a 17-18 anni. Voleva fare gol, non evitarli. Era un tipo diverso, non il guerriero di oggi, non l´erede di Totti come capitano, non l´atleta con un fisico poderoso, ma anzi piuttosto mingherlino e insicuro, molto tecnico e poco fisico, nemmeno certo allora del posto di squadra.
Forse Daniele De Rossi, l´uomo cui Prandelli si affida, per riappattumare intorno a lui non solo una difesa che incassa troppi gol, ma una nazionale stravolta dagli eventi e dagli infortuni, non è nato nemmeno campione come si dice. Lo è diventato negli anni, crescendo sotto tutti i punti di vista, tecnico, fisico, caratteriale perfino economico visto che il contratto fino al 2017 da 6 milioni all´anno è costato alla Roma praticamente una finanziaria: oddio le gomitate ogni qualche anno partono (se ne ricordano Bentivoglio del Bari o Srna dello Shakhtar Donetsk) perché fa parte del repertorio da “gladiatore”, ma sono lontane e non destano più tanto scandalo come la famosa gomitata all´americano McBride che gli costò ben 4 partite del Mondiale 2006.
Dietro dunque, subito davanti a Buffon e in mezzo a Chiellini e Bonucci, o molte altre combinazioni possibili – ieri Prandelli ha parlato a lungo con Chiellini per spiegarli i nuovi oneri – a seconda di questa sperimentazione un po´ pazza made in Cracovia che proseguirà fino al riscaldamento della partita con la Spagna.
Quest´anno a Roma De Rossi prima è partito come play maker bassissimo, riprendeva la palla dal portiere e cominciava a giocarla quasi orizzontalmente, alla barcellonese, sistemandosi poco fuori area, e in qualche rara occasione ha giocato proprio da difensore centrale come contro la Juve (ma in ogni caso sempre in una difesa a 4 e mai a 3). Non è stata invero una grande pensata di Luis Enrique, De Rossi come difensore non ha lasciato tracce e di sicuro il centrocampo senza di lui è più vuoto. È una mossa della disperazione che non convince, la lista dei 23 è matematicamente concepita per tre portieri e una coppia titolare/riserva per ogni ruolo. Scompigliare i ruoli aumenta addirittura il senso di emergenza. E se nemmeno Pirlo dovesse essere al top – ieri si è fermato per un leggero trauma contusivo al polpaccio destro – il suo impiego da difensore potrebbe diventare un assist al gioco degli spagnoli. Zeman ad esempio è stato lapidario: «Per me De Rossi è un centrocampista». Lippi addirittura definì De Rossi «uno dei più forti centrocampisti del mondo, al livello di Gerrard e Lampard».
Lui stesso ha come riferimenti i fenomenali giocolieri spagnoli. «Per me che sono un centrocampista – ha detto al sito dell´Uefa – è anche un bel test, per migliorarmi e vedere a che livello sono, visto che di fronte avrò i centrocampisti più forti del mondo: Xavi, Iniesta, Busquets, Xabi Alonso sono giocatori eccezionali. Xavi per il ruolo che interpreto io penso sia il top». Dovrà fermarli invece come una roccia sulla linea di porta. Alla Burgnich…
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