IL MESSAGGERO ( B.Saccà) – Sul grande oceano del calcio alle volte affiorano infiniti geni e sublimi genialate. Accade spesso, però, che la meravigliosa invenzione tagliata su misura per un determinato contesto sia in nessun modo replicabile altrove. L’idea, quindi, evapora. O, peggio, sfuma ad assurdità. È successo a Pep Guardiola, un fuoriclasse della panchina; e accade in questa stagione al suo prodigio, traducibile in dieci lettere distribuite in due parole: «Falso nueve». In sintesi estrema, il falso nueve poggia sulla convinzione che qualsiasi giocatore offensivo possa ricoprire il ruolo del centravanti, il 9 per l’appunto, sfruttando una mappa tattica ad orologeria. Famose sono e rimarranno le frasi dello stesso Guardiola: «Al Barça non abbiamo un centravanti perché il nostro centravanti è lo spazio». Si dirà: già ma aveva Messi, è facile. Eppure, l’intelaiatura del Barcellona di Guardiola portava a compimento la concreta utopia di consentire a qualsiasi elemento di entrare nel cono di luce della porta avversaria, e di segnare. Siccome il calcio è un mondo di mode, come si sa in un baleno gli allenatori di mezza Europa cominciarono ad adottare il tratto distintivo del falso nueve, e a sottrarre così i centravanti per sostituirli con giocatori vagamente offensivi. Qualcuno si avvicinò, qualcuno neppure per sogno, nessuno seppe duplicare fino all’esattezza.
SI SEGNA, SI VINCE – Poi Guardiola ha lasciato il Barça, è atterrato sulla panchina del Bayern e, per primo, ha varato la contro-rivoluzione. Dato che tutti erano ancora impegnati a sbriciolarsi la mente con il falso nueve, lui ha intuito il passaggio successivo: tornare al centravanti puro. Non che fosse un’immagine scomparsa o estinta, ma di certo aveva abbandonato un poco le scene. Addirittura, era divenuto indice di un gioco perfino inelegante. Così, Guardiola ha deciso di superare l’idea di…Guardiola: e al Bayern ha chiesto e ottenuto Lewandowski. E Robben? E Ribery? Sono rimasti, chiaro: ma era altrettanto importante un finalizzatore riconosciuto e riconoscibile. Mutazioni. Questa stagione ormai sta sgocciolando verso la fine, e va annotato che ha offerto poche novità sia nei nomi sia nei cambiamenti tattici. Una però è senz’altro legata alla figura dell’attaccante. Anzi, del centravanti, dell’uomo capace di piegare le porte, bucare le reti, fare 20 gol a stagione. Proprio quello che tanti tifosi della Roma chiedono per il futuro alla dirigenza. È facile registrare dunque che il tempo del falso nueve sia scaduto: è diventato un falso incanto. Perché i campionati adesso li vincono le squadre trascinate dai bomber di razza. Perfino il Barça, entrando nello specifico, ha accostato un cecchino come Suarez alla maestria di Messi e di Neymar. Il Real Madrid ha Cristiano Ronaldo, sì, ma solo di rado può rinunciare a Benzema. Il Siviglia fila con Bacca. L’Atletico si è aggiudicato la scorsa Liga soprattutto grazie a Diego Costa. E addirittura la Spagna di del Bosque ha «acquisito» Diego Costa per il Mondiale brasiliano, stanca del «centravanti è lo spazio». Al proposito, per conquistare la Premier, Mourinho ha preteso proprio Diego Costa e Drogba: perché Hazard e Fabregas non potevano bastare. Il City ha Agüero e Dzeko; lo United van Persie e Rooney; l’Arsenal Giroud. In Francia, al Psg nessuno pensi di togliere Ibrahimovic. E il Lione vola con Lacazette, forse una seconda punta, di sicuro un cannoniere. In Italia la Juventus sfoggia Tevez, l’Inter Icardi e il Napoli Higuain; e, prima ancora, Cavani. È il calcio che torna all’origine: si segna, si vince.