La tessera, il carcere e il rischio discriminazione

La tessera, il carcere e il rischio discriminazione

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IL ROMANISTA – Gentile Dott. Fotia, leggo spesso e volentieri articoli contro la tessera del tifoso come se l’Italia avesse schedato illegalmente tutto il mondo sportivo o quasi. posto che quello che succede in Italia non succede in nessun paese civile, perché si deve sempre difendere chi non può seguire la sua Roma in trasferta o è stato ghettizzato nelle curve dopo anni di tentativi di risolvere il problema Ultras (nella sua accezione negativa)?

Perché non si parla di bombe carta che puntualmente scoppiano ogni domenica oltre a dare un segnale ed un impressione becera al mondo che guarda lo sport pesano sul bilancio della società, e sulla sua immagine? Perché la curva deve essere territorio di gente che con il tifo ha poco a che fare dove non possono entrare forze dell’ordine da anni altrimenti si rischia la guerra? Perché se compro un biglietto di curva non sono tutelato e non posso stare seduto al mio posto a vedere la partita ma rischio le botte o il linciaggio? È giusto avere dei settori dove regna l’anarchia? Dove si inneggia ai diffidati? Se si è diffidato ci sarà un motivo o no?

In Italia non funzionano le cose perché non si vuole. Perché la tessera del tifoso è stata l’ennesima presa in giro che non ha cambiato nulla. Perché finché non si punisce con il carcere o con l’allontanamento serio e vero non come quello che avviene qui non cambierà mai nulla e si potranno fare mille tessere. Se vanno in 10000 a Milano e poi succedono come al solito casini e si riparla di blocco del campionato o altre menate è serio? Sembra il cane che si morde la coda, non si risolve un problema. In Italia al massimo mettono un paletto (che può essere tranquillamente aggirato) e poi lasciano il tutto come era prima. La posizione contro la tessera andrebbe presa se di contro ci si opponesse contro l’anarchia ed un mondo che con lo sport non ha nulla a che vedere. Saluti e sempre forza Roma. M.T.

Alla lettera risponde l’avvocato Lorenzo Contucci, esperto in materia di leggi contro la violenza negli stadi e provvedimenti Daspo.

Egr. Sig. M.T., la Sua cortese lettera già contiene la risposta: la tessera del tifoso è inutile e non ha fatto nulla per limitare la violenza negli stadi che, se percentualmente diminuita, è solo per via della chiusura di interi settori per tutte le partite dei campionati di calcio, non solo per quelle a rischio. Avrà potuto notare come, tessera o non tessera, i petardi continuano a scoppiare e – se legge le cronache locali e non solo quelle dei maggiori quotidiani – le violenze negli stadi (o meglio, intorno agli stadi) proseguano, ancorché meno raccontate dai mass media (da ultimo, Torino-Pescara), cui le questure evidentemente forniscono meno veline.

Forse non sa che nella civile Inghilterra, la scorsa stagione sono morti a seguito di incidenti negli stadi due tifosi, e non lo sa perché i giornali inglesi lo hanno evidenziato pochissimo: purtroppo in tutti i Paesi civili vi è la violenza nel calcio ma in nessun Paese civile è stato escogitato un rimedio inutile che non può eliminare la violenza ma, al contrario, ha desertificato le presenze negli stadi, mortificando colore e passione.

La soluzione che Lei indica, carcere per i violenti e allontanamenti seri dagli stadi, è di fatto già in atto: ogni anno vengono svolti decine e decine di processi che si chiudono con condanne e assoluzioni, che di certo non vengono raccontati dai quotidiani perché di scarso interesse. Vengono emessi centinaia di daspo che sono nel 99% dei casi rispettati, anche perché chi non rispetta le prescrizioni è punito con una condanna superiore persino a quella irrogata a chi evade dal carcere. Le pene previste sono le più alte di tutto il mondo occidentale, Inghilterra inclusa. Non si può però, come Lei auspica, punire esclusivamente con il carcere chi delinque in uno stadio: esiste infatti l’art. 3 della Costituzione, perno della democrazia e inviso alle dittature di ogni colore, che dice che siamo tutti uguali, uomini e donne, cattolici e musulmani, bianchi e neri, tifosi e non tifosi.

Il tifoso violento, quindi, piaccia o non piaccia, ha diritto alle medesime garanzie di cui anche Lei gode. È quindi evidente che, se evidenziamo l’assurdità di provvedimenti che impediscono a un papà di potere portare i suoi figli siciliani tifosi della Roma a vedere la Roma durante l’ultimo Roma/Catania, così come a migliaia di persone di poter seguire la propria squadra a Milano, è solo perché non vogliamo che un giorno un titolare di un bar affigga un bel cartello al suo esercizio in cui sta scritto “E’ vietato l’ingresso alle persone con un colore della pelle diverso da quello del titolare”: quel che infatti sta accadendo nella civile Italia è che un club privato impedisca di acquistare un biglietto (che già contiene in sé il controllo della questura onde verificare che chi lo acquista non sia soggetto a divieti di alcun tipo) a chi risiede in una determinata regione, mentre se si risiede in un’altra lo può fare.

E questa prassi, che non si basa su alcuna norma di legge, ha un solo nome: discriminazione territoriale. Siamo per il tifo colorato, lecito e passionale: se, quindi, viene adottato un provvedimento (in sé peraltro ingiusto da un punto di vista giuridico, come affermato dallo stesso Osservatorio) che da un lato non risolve il problema (le tifoserie che nel 75% dei casi hanno provocato incidenti in Serie B la scorsa stagione sono quelle del Verona e della Nocerina, regolarmente tesserate; in Serie A quelle dell’Inter e della Juventus, pure regolarmente tesserate), dall’altro elimina calore, folklore e, probabilmente, anche qualche punto in classifica per la nostra squadra, non ci resta che scriverlo, senza che ciò possa significare in alcun modo avallare comportamenti violenti.

LORENZO CONTUCCI

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