CORRIERE DELLA SERA (A. ARZILLI) – Le questioni sono due, pratica e d’immagine, collegate tra loro dalla disgraziata frase su Optì Pobà. In pratica Carlo Tavecchio rischia quasi il nulla per l’inchiesta aperta dall’Uefa, il deferimento che probabilmente gli piomberà addosso dalla Disciplinare è a impatto zero visto che potrebbe al massimo inibirlo dalla Commissione Dilettanti di Nyon, organismo da cui si è dimesso subito dopo l’elezione dell’11 agosto. Vale come un cartellino giallo per un giocatore seduto in tribuna, per intenderci.
L’11 settembre, il giorno successivo al forum antirazzista di Roma, Tavecchio ascolterà la sentenza dopo aver prodotto la memoria difensiva che mira a valorizzare la sua storia professionale e personale.La cosa certa è che, tecnicamente, il suo ruolo e le sue funzioni da presidente federale sono salve al netto del verdetto. Anche per questo il passo indietro per motivi di opportunità non è proprio contemplato. Anzi, dopo aver messo la Nazionale nelle mani di Conte (che ieri era a Firenze per parlare con Rossi e Montella, ha visitato Coverciano e, in attesa delle convocazioni del 30, ha fatto le prime pre-convocazioni: Immobile, Giaccherini, Borini, Criscito e Pellé tra gli altri), Tavecchio si è dedicato alle riforme «cacciavite» in programma, prima la norma sulla discriminazione territoriale e ora il progetto di spending-review per rendere più snella la Figc. Avanti tutta, insomma, le pressioni ci sono ma per ora il presidente le regge.
Certo, un’eventuale inibizione può finire per allargare la voragine del dissenso, il danno d’immagine allora sarebbe enorme e le pressioni difficili da gestire. Ed è proprio questa l’altra questione, più politica che pratica, sicuramente un tema centrale visto che il tribunale è l’opinione pubblica. Mai un presidente di una federazione importante come quella italiana è stato squalificato con accuse di razzismo. Potrebbe pensarci l’Uefa, magari la Fifa, come ha detto al Corriere Giovanni Malagò. Oppure la Procura Figc di Stefano Palazzi che, considerati gli esposti già sul suo tavolo, sarebbe tenuta a procedere in base all’articolo 11 del codice di giustizia sportiva. Altrimenti potrebbe toccare alla Superprocura del Coni far partire l’iter avocando a sé gli atti o pungolando lo stesso Palazzi. In ogni caso Tavecchio non mollerà anche se è evidente che si trova sotto tiro. Almeno non prima di aver tentato di praticare la strada delle riforme, l’unica carta per rimettere a posto la sua immagine e far cessare l’assedio. Ma non sarà facile. Il nodo è la riforma dello Statuto per spazzare via il diritto di veto che, di fatto, impedisce qualsiasi svolta radicale. Solo che la riforma dello Statuto può essere a sua volta bloccata dal veto incrociato, una situazione metafisica. Per Tavecchio, insomma, la pratica ha un valore relativo
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