CORRIERE DELLO SPORT – R. MAIDA – «Sei mesi fa nevicava, adesso ci sono quaranta gradi: ma io non cambio idea con il clima». Daniele De Rossi sorride, abbassa leggermente la testa, quasi si emozionasse nel dare certezze: «A febbraio ho deciso di firmare un contratto importante con la Roma, difficile da replicare nel calcio italiano di questi tempi, e sono felice qui. Ma forse la mia scelta l’avevo fatta 30 anni fa…». Non poteva che essere così.
Ancora prima di venire al mondo, De Rossi si è legato a vita alla squadra che gli scorre nelle vene. Il resto è solo tentazione, o semplicemente lusinga: «Fa piacere che una società, quella di cui si parla, faccia un’offerta (non nominerà mai il Manchester City, ndr). Se sono pressioni, sono pressioni piacevoli. Io però ho detto che la mia volontà era rimanere alla Roma. Lo sa il mio procuratore, che cura i miei interessi e non fa niente per portarmi via, e lo sa anche Mancini, che ho sentito una volta per telefono». Fine della storia allora. La Roma si gode De Rossi, De Rossi ama la Roma: tutti vissero felici e contenti. A meno che – si legge tra le frasi inequivocabili di questa conferenza stampa – non sia la Roma a prendere l’iniziativa di vendere. Ma è quasi impossibile che accada il 21 agosto, nonostante il catalizzatore da 25 milioni del City. Il fatto che nessun dirigente abbia accompagnato De Rossi in questa chiacchierata potrebbe essere interpretato come il segnale di uno scollamento tra giocatore e società. In realtà, più semplicemente, era giusto che De Rossi esprimesse il suo punto di vista in piena libertà, senza occhi pesanti che avrebbero potuto frenarne la verve.
Nessuno ha mai annunciato chiaramente che De Rossi resterà alla Roma. La Roma sta pensando di venderla davanti alla famosa offerta che non si può rifiutare? «Per correttezza non posso rispondere. Bisogna chiedere alla società, è giusto che risponda la società. Ma io credo che la Roma punti molto su di me».
E se le comunicassero che la Roma la vuole vendere? «In base alla motivazione, ragionerei. Io ho sempre detto a tutti che voglio stare qui. Se mi dicessero che l’allenatore non mi vuole, che non vado più bene, che guadagno troppo oppure che c’è bisogno di soldi, parleremmo. Nesta andò via dalla Lazio per rispetto del club che viveva un momento difficile. Ma non mi sembra questo il caso. Ci tengo a dire una cosa: non ho mai chiesto di andare via e per questo sono qui a parlare. Il giorno che vorrò andare via dalla Roma verrò in sala stampa e lo dirò, prendendomi le responsabilità che spettano a un uomo di trent’anni. Ora voglio continuare e l’ho dimostrato: ho fatto 18 giorni di vacanza e non ho mai saltato una ripetuta in allenamento. Non chiedo una medaglia, è il mio dovere, ma un calciatore che pensa di lasciare una squadra da un momento all’altro non si comporta così».
Quante squadre l’hanno cercata oltre al City? «Potrei fare altri nomi ma una vera e propria offerta mi è arrivata solo da loro. Anche durante l’Europeo».
E’ vero che Mancini l’ha “minacciata” prospettandole di chiudere la carriera con pochi trofei come Totti? «E’ una bugia. Mancini stima a tal punto Francesco che certe cose non potrebbe pensarle. E poi è vero che Francesco, che ha un talento molto superiore al mio, rischia di arrivare alla fine della carriera con uno scudetto, che avrebbe potuto fare incetta di titoli andando in altri club, ma a me viene da dire: magari… Non si può sempre vincere, ma nemmeno sempre perdere. Prima o poi, da qui ai cinque anni del mio contratto, arriverà anche il momento della Roma».
Le dà fastidio non essere dichiarato incedibile da Sabatini? «No, il discorso è sacrosanto. Sono stati venduti Zidane, Cristiano Ronaldo, Ibrahimovic, figuriamoci se io non posso essere messo in discussione. Sono un calciatore forte ma non un fenomeno. Poi per i tifosi il discorso è diverso, si è visto l’altra sera allo stadio quanto mi siano vicini. Ma io vorrei essere considerato importante perché sono bravo, non perché sono romano».
I tifosi però potrebbero rinfacciarle il fantastico stipendio al primo errore. «Ci può stare, il tifoso moderno è anche un po’ commercialista… E ci saranno anche gufi pronti a criticarmi. Ma di questo non sono preoccupato».
Si è sussurrato di un rapporto freddino con Zeman. «Falso. Mai avuto difficoltà con lui. Sono sincero: sono molto dispiaciuto dell’addio di Luis Enrique, resto convinto che sia un grandissimo allenatore, con lui eravamo in totale sintonia sia calcistica che umana. E avrei preferito che il successore fosse Montella, perché lo conosco e perché lo considero un ottimo tecnico. Avevo paura di avere problemi con Zeman, me lo immaginavo un tipo musone, troppo serio. Invece ho scoperto una bellissima persona e un professionista splendido: è stimolante il lavoro con lui, anche se non ho mai faticato tanto in vita mia».
Alla fine dello scorso campionato aveva chiesto investimenti di livello. Ritiene che la squadra sia stata adeguatamente rinforzata? «Sì, sono soddisfatto, è stato fatto ciò che volevo. Sono arrivati giocatori molto bravi che possono formare un gruppo importante. Mi dispiace che siano partiti ragazzi come Cassetti, Heinze, Pizarro, che sono stati pilastri della squadra. Lo zoccolo duro della Roma si sta sgretolando, penso anche a Borriello che sembra sia sul punto di lasciarci (è una notizia?, ndr), ma è stato acquistato materiale calcistico e umano importante».
L’anno scorso si è parlato di stagione di transizione. Quest’anno siete pronti a dichiarare un obiettivo ambizioso? «Nello scorso campionato non mi è piaciuto che si dicessero certe cose quando eravamo a tre punti dalla Champions League. Questo inconsciamente può aver creato degli alibi ai giocatori, a me per primo. Per quest’anno dico che il divario con le prime si è assottigliato, ci siamo rafforzati più di altre squadre. La sensazione è di poter fare una grande stagione»
Roma da scudetto allora. «Non lo so, non mi sento di essere così esplicito. La Juventus mi sembra ancora leggermente superiore. Ma poi non sempre la squadra più forte vince. Lo sa bene proprio la Juve che ha vinto il campionato partendo da un settimo posto (come la Roma di oggi, ndr) contro il Milan che era il netto favorito».
Almeno la Champions League si può considerare raggiungibile? «Niente obiettivi. Rischieremmo di fare una brutta figura doppia, come in passato. Di sicuro la volontà è tornare in Champions. E’ una competizione troppo bella e importante. E dopo un Europeo giocato bene, credo, mi sono reso conto ancora di più di quanto mi manchino certe partite».
Non teme che le polemiche tra Zeman e la Juve possano danneggiare la Roma? «No, sono passati quei tempi. Vedo però dalla Supercoppa che si ricomincia con un clima acceso. Giochiamoci questo campionato. Quanto a me, considero la Juve una rivale sportiva ma non provo odio: in quella squadra giocano tanti miei amici. Amici veri, non colleghi».
Tra i nuovi acquisti, chi l’ha sorpresa di più? «Nessuno in particolare. Molti si conoscevano: Destro, Balzaretti, lo stesso Bradley. Ecco, semmai Piris e Tachtsidis si stanno dimostrando molto bravi. Nemmeno Romagnoli è una scoperta: mio padre, che allena la Primavera, me l’aveva segnalato. Ma non dimentico quelli che c’erano l’anno scorso: con questo allenatore giocatori come Lamela, Bojan e Osvaldo hanno il potenziale per fare cose incredibili».
Con Zeman migliorerà anche De Rossi? «Lo spero. Non ci saranno così tante differenze rispetto al calcio di Luis Enrique, mica mi verranno chieste le capriole. Con i mille movimenti degli attaccanti potrò fare più assist e magari, quando sarò utilizzato da interno, anche più gol».
E’ pronto a fare anche il difensore centrale? «Se serve sì. Anzi, siccome mi pagano tanto è giusto che copra diversi ruoli: prenderò mezzo stipendio da difensore e mezzo da centrocampista».
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