Il Messaggero (M.Ferretti) – In fondo, non sarebbe stato così difficile vincere (anche) la prima di campionato a Verona. Sarebbe bastato, ad esempio, mettere gli uomini giusti ai posti giusti, e la partita fatalmente avrebbe preso tutta un’altra direzione. La conferma è arrivata dall’Olimpico, avversario la Juventus, non la modesta squadra di Andrea Mandorlini. Scelte azzeccate, con accorgimenti tecnici legati alla figuraccia veronese, e tattica ad hoc per l’impegno. E tre punti in cassaforte, con i campioni d’Italia quattro lunghezze dietro.
Se in riva all’Adige si era vista la mano di Rudi Garcia, ma era quella sbagliata, stavolta si è vista quella corretta. A conti fatti, il francese ha sbagliato poco o niente, e così laRoma da inguardabile è diventata (a tratti) bella assai. Anzi, fino al secondo gol giallorosso non c’è stata letteralmente partita, con la Roma padrona del campo e costantemente proiettata verso la porta di Buffon, senza rischiare nulla in fase difensiva. Segno che la squadra era equilibrata, che ognuno – messo al posto suo – stava facendo il proprio dovere. E, logicamente, si è visto anche il gioco, assente ingiustificato nella partita d’esordio.
LA PRIMA VOLTA – Garcia, per la prima volta da quando siede sulla panchina della Roma, è riuscito a battere la Juventus (in campionato) e il collega Allegri. Buon segno. O meglio, un segnale che va interpretato con attenzione in funzione di un campionato che la Roma vuole giocare fino in fondo da protagonista. Doveva, Rudi, dare una risposta seria, profonda e anche decisiva: il successo sui quattro volte campioni d’Italia è frutto anche del suo lavoro, di quanto prodotto, studiato e provato durante la settimana in allenamento. Il neo della giornata è rappresentato dal finale da brividi, nonostante l’uomo in più: segno che occorre lavorare ancora sulla mentalità, sulla concentrazione. Se la Roma vuole volare, deve saper usare anche la testa. EGarcia, immaginiamo, lo sa.