FOCUS CGR – Ci siamo quasi. O così sembra. Dopo oltre 60 giorni di aspre polemiche, rinvii, forzature grottesche veicolate da alcuni media, scivoloni dialettici via social, il calcio italiano a breve potrebbe scoprire il proprio destino e ricevere dal Governo l’agognato verdetto: ripartire, con tutti i rischi del caso o chiudere i battenti dell’attuale stagione (oltre agli stadi, che resteranno deserti comunque fino al prossimo anno). Sul tema, i modelli europei sono diversi e totalmente eterogenei, segno evidente che il tentativo miope dell’UEFA di trovare unanimità tra le federazioni, si sia scontrato con la realtà e le singole previsioni governative, preminenti rispetto a qualsiasi decisione di carattere sportivo: il Belgio è stato il primo paese a fermarsi, la scelta è stata però assunta della Federazione e non dello Stato; la Francia, al pari dell’Olanda, ha decretato uno stop prolungato a qualsiasi attività sportiva fino all’inizio dell’autunno, imponendo quindi l’automatica chiusura dei rispettivi campionati di Ligue1 e Eredivisie; in Germania, Angela Merkel emetterà pubblicamente la decisione nelle prossime ore sul futuro della Bundesliga, che potrebbe tornare in campo prima di tutti, il prossimo 15 maggio; in Polonia e Portogallo a fine mese si riprenderà a giocare, complice però un’epidemia decisamente inferiore nei numeri rispetto ad esempio a quella italiana o britannica. E, mentre la Premier lancia proposte a tratti pittoresche come quella di ridurre il tempo di gioco delle partite pur di tornare ad una semi-normalità, la Spagna segue il modello italiano in termini di protocollo, con misure di protezione, distanziamento e graduale ritorno alla normalità per Liga e seconda divisione, che però hanno ufficialmente annunciato di voler tornare in campo e terminare dunque la stagione. Insomma: l’Europa del calcio è totalmente spaccata e Ceferin dovrà, tristemente, farsene una ragione, con il futuro delle fasi finali di Europa League e Champions League a forte rischio, anche per via di una chiusura generale delle frontiere, che se mantenuta, impedirebbe lo spostamento delle squadre in Europa.
Tornando però al calcio italiano e al nostro campionato, è necessario fare chiarezza: spesso le contrapposizioni dialettiche diventano guerriglie e per andare dietro a questa o quella posizione, si rischia di perdere il focus della questione. Perchè il ministro Spadafora, in rappresentanza del Governo, a torto o a ragione, non ha ancora dato l’ok alla ripresa delle attività? Il motivo è semplice, nella sua spiegazione, difficilissimo nella sua eventuale risoluzione: il protocollo FIGC sulla ripresa di allenamenti e quindi, successivamente (salvo modifiche) anche delle partite, prevede una sostanziale ma dirimente deroga alla normativa sanitaria nazionale sulla quarantena delle persone che sono entrate in contatto stretto, con soggetti positivi al Covid-19.
Il presupposto dunque è la regola generale: l’ISS in ottemperanza ai modelli scientifici internazionali, ha chiarito da diverse settimane quanto duri il periodo di incubazione da coronavirus, cioè il periodo di tempo che intercorre fra il contagio e lo sviluppo (eventuale) dei sintomi clinici: si stima attualmente che vari fra i 2 e gli 11 giorni, fino ad un massimo di 14 giorni. Periodo temporale confermato anche da recenti evidenze fornite dallo European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC). Tale disposizione, di riflesso, vale per ‘qualunque persona sia entrata in contatto stretto e diretto con un’altra che abbia contratto il virus o che sia anche solo un caso sospetto da COVID-19’.
Ma cosa si intende per contatto stretto e diretto? A chiarirlo anche qui i protocolli sanitari nazionali che riflettono le predisposizioni dell’ECDC:
• una persona che vive nella stessa casa di un caso di COVID-19
• una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso di COVID-19 (es. stretta di mano)
• una persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso di COVID-19 (es. toccare a mani nude fazzoletti di carta usati)
• una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso di COVID-19, a distanza minore di 2 metri e per più di 15 minuti
• una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (es. aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso di COVID-19 per almeno 15 minuti, a distanza minore di 2 metri
• un operatore sanitario od altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso di COVID19, oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso di COVID-19 senza l’impiego dei DPI raccomandati o mediante l’utilizzo di DPI non idonei
• una persona che abbia viaggiato seduta in aereo nei due posti adiacenti, in qualsiasi direzione, di un caso di COVID-19, i compagni di viaggio o le persone addette all’assistenza e i membri dell’equipaggio addetti alla sezione dell’aereo dove il caso indice era seduto (se il caso indice ha una sintomatologia grave o ha effettuato spostamenti all’interno dell’aereo, sono da considerare come contatti stretti tutti i passeggeri seduti nella stessa sezione dell’aereo o in tutto l’aereo).
Sostanzialmente dunque oltre al soggetto positivo (che in assenza di sintomi gravi) è costretto alla quarantena domiciliare per almeno 14 giorni, con la necessità di verificare attraverso i test molecolari se la carica virale è scemata dopo tale periodo di tempo, anche tutte le persone entrate in stretto contatto con il soggetto positivo hanno l’obbligo di auto-isolarsi per lo stesso periodo di tempo, con la speranza che non sorgano sintomi. Rispetto a tali attente previsioni, il protocollo sanitario varato dalla FIGC oltre venti giorni fa, imporrebbe una deroga eccezionale che ha spinto il Governo, il Comitato tecnico scientifico e quindi il Ministro Spadafora, a dichiarare il suddetto protocollo ‘assolutamente insufficiente’.
Come si gestiscono i nuovi contagi una volta ripresi gli allenamenti? A pagina 14 del documento si legge: “In caso di accertata positività di un soggetto (Es. calciatore), nei confronti dei suoi contatti stretti (verosimilmente tutto il GRUPPO squadra nel caso si tratti di uno dei componenti), si procederà a:
▪ isolamento fiduciario con sorveglianza attiva;
▪ ripristinare tutte le misure più «rigide» di distanziamento e sospendere temporaneamente gli allenamenti di gruppo fino alla ripetizione dei test molecolari rapidi (2 test a 24 di distanza) e sierologici e verificare la loro negatività. I test sierologici saranno ripetuti entro 5-7 giorni;
Ecco il vero ed unico ‘nodo amletico’ della annosa questione ‘ripartenza del calcio’: applicare la normativa nazionale e quindi l’eventuale quarantena di 14 giorni alle squadre colpite da nuovi casi di contagio, con automatico nuovo stop al campionato che vorrebbe dire chiusura definitiva, viste le poche settimane rimaste a disposizione per terminare la stagione?
—- OPPURE —-
derogare a questo principio, esclusivamente per il calcio, ponendo però in serio pericolo la credibilità dei protocolli nazionali sin qui adottati ed esponendo la cittadinanza a gravi rischi di salute?
Diffidate di chi pone luce sulla questione morale (richiamata in queste ore da alcune tifoserie come quella romanista), o sulla problematica economica e il fantomatico spauracchio del rischio default per il sistema calcio, che verrà certamente supportato da aiuti statali da qui alle prossime settimane. Non c’è neanche la tematica sportiva, rispetto ad un campionato di per sé già falsato nella sua regolarità per mille motivi. L’unica questione che ha prodotto un reale stallo decisionale, tra istituzioni governative e istituzioni calcistiche, riguarda il protocollo sanitario, non tanto nella sua complicatissima applicazione generale, quanto nella difficoltà di poter prevedere o meno tale deroga eccezionale. E intanto, mentre i centri sportivi riaprono agli allenamenti individuali, la palla torna al centro di un immaginifico campo dove la contesa dialettica tornerà a vivere di sussulti, contropiedi e azioni spettacolari, in attesa delle decisioni finali. Presto sapremo se ci sarà un fischio d’inizio o un triplice fischio finale.