IL ROMANISTA – L. PELOSI – A 17 giorni dalla finale di Coppa Italia, ci sono molti motivi di preoccupazione nella Roma. Motivi che, purtroppo, non dipendono solo dalla prestazione e dal risultato della partita contro il Chievo, ma che emergono analizzando tutto l’ultimo periodo della stagione. Diciamo l’era Andreazzoli, dove “era” lo si può anche intendere come imperfetto, visto che il prossimo allenatore della Roma non sarà lui. Con buona pace dei feticisti della media punti.
CONDIZIONE ATLETICA – Subito un paio di dati che potrebbero far pensare che non è quello il problema: fermandosi ai primi tempi, la Roma avrebbe ottenuto 8 punti in meno, 16, rispetto ai 24 che ha portato a casa nelle ultime 13 partite. Inoltre pur perdendo al 90’ col Chievo, la squadra ha provato a spingere fino alla fine, anzi, al 90’ aveva trovato anche il gol vittoria contro la Fiorentina. Ma basta allargare lo sguardo per rendersi conto che alla squadra mancano decisamente brillantezza e reattività. A parte poche occasioni (la partita con la Juve, il primo tempo col Parma e in parte quello con l’Udinese), la Roma ha sempre espresso un gioco monocorde, che ha spesso visto i giocatori arrivare secondi sul pallone anche se l’intenzione era un’altra. Esempio: Fiorentina-Roma era stata evidentemente preparata per aggredire i viola in un modo che è riuscito solo nella prima metà del primo tempo. Difficile, molto difficile, pensare che la Roma abbia scelto di farsi schiacciare dentro l’area per tutto il secondo tempo, come poi è successo. Altro esempio, l’incapacità di sfruttare la superiorità numerica con la Lazio dopo l’espulsione di Biava.
TATTICA – Quando si vuole dimostrare che un allenatore non ha trovato il bandolo della matassa, si vanno a guardare sempre le formazioni schierate. Ebbene, Andreazzoli in 13 partite ha schierato 13 formazioni diverse. Il criterio quindi non può non valere anche per lui, che peraltro ha anche proposto 6 moduli differenti. Se la duttilità diventa vorticosa, è molto più vizio che virtù. Palese l’errore contro il Chievo, con il doppio centravanti più Totti e la spinta sulle fasce affidata all’inadeguato Piris e allo sfiatato Dodò. Ma altre cose hanno lasciato perplessi: le 5 punte schierate contemporaneamente nel finale col Pescara, che hanno ricordato certe imprese di Carlos Bianchi, Lamela esterno di centrocampo, più di un giocatore che ha cambiato spesso ruolo (Torosidis e Florenzi, ad esempio).
MENTALITÀ – Non dovrebbe servire un allenatore per battere il Pescara e il Palermo, e infatti in questo caso non si chiama in causa Andreazzoli, perché il difetto evidentemente è congenito e nessuno è ancora riuscito ad estirparlo. Oltre alle due gare citate, grandissime occasioni perse, va ricordato anche il modo in cui la squadra è scesa in campo nel primo tempo della gara di ritorno di Coppa Italia contro l’Inter. I nerazzurri probabilmente erano ancora meno forti del Pescara, quel giorno. Eppure, nella gara più importante dell’anno, la Roma è riuscita a subire e a chiudere in svantaggio il primo tempo. Per non parlare del già citato derby, dove non si riuscì a sfruttare la superiorità numerica nel secondo tempo e dove nel primo una Lazio rimaneggiata fu nettamente superiore chiudendo meritatamente in vantaggio. Forse per risolvere il problema basta pensare a una frase di Totti, passata sotto silenzio e pronunciata dal Capitano prima di Roma-Siena. «Per la mentalità vincente servono i campioni».