ANSA (L. AMUSO) – Da una storica doppietta all’esonero postdatato, attraverso 12 mesi di delusioni che hanno marginalizzato Carlo Ancelotti, sfiduciato pubblicamente dal nuovo attivismo di Roman Abramovich. Perchè se il tecnico italiano è destinato a restare sulla panchina del Chelsea fino al termine della stagione, il suo destino appare comunque segnato. Irrimediabilmente. C’è già un pretendente alla panchina Chelsea: «Mi piacerebbe allenarlo», dice Marcello Lippi. Perchè l’addio di Ancelotti è scontato, anche per i tabloid inglesi. Forse neppure la vittoria della Champions League avrebbe potuto cambiare un epilogo già scritto. Il divorzio dal Chelsea, inevitabile da quando ad Abramovich è tornata la voglia non solo di spendere ma anche di comandare. Solo così si spiegano una serie di decisioni prese alle spalle, talvolta all’insaputa, dello stesso tecnico italiano. A cominciare dal licenziamento a novembre di Ray Wilkins, il principale collaboratore di Ancelotti, sostituito da un fedelissimo del patron russo, Michael Emenalo. L’inizio della fine. Il segnale che la fiducia – nonostante l’accoppiata Premier League-Fa Cup raggiunta la stagione precedente – non era più incondizionata, tanto meno illimitata. Al contrario, vigilata dall’alto, vincolata ai risultati, che a quel punto sono precipitati. Perchè dopo un avvio di stagione spedito – con otto vittorie nelle prime dieci giornate di campionato, due vittorie di proporzioni tennistiche e l’ipoteca sugli ottavi di Champions – tra novembre e dicembre il Chelsea è improvvisamente appassito. Due mesi da incubo, cinque sconfitte in 11 gare, solo 10 punti sui 33 a disposizione. Una crisi nel nome del Liverpool, che prima ha inaugurato il filotto di sconfitte dei Chelsea e più tardi (inizio febbraio) ne ha frusttrato le ultimissime velleità di rimonta, imponendosi allo Stamford Bridge nel giorno dell’esordio di Fernando Torres. Persa la Premier League, fuori malamente dalle coppe domestiche, ad Ancelotti non è rimasta che la Champions per salvare la stagione. E la sua panchina. L’ultima ossessione di Abramovich che dal suo arrivo a Londra, nel 2003, si è dovuto accontentare di una finale persa (2008) e quattro semifinali. E che aveva ancora negli occhi la delusione dello scorso anno quando l’Inter dell’ex Josè Mourinho aveva frenato la corsa dei Blues agli ottavi. Per non lasciare nulla d’intentato il patron russo rinnega il suo piano di austerity e nelle ultime 48 ore di gennaio spende più di 80 milioni di euro per Torres e David Luiz. Il Chelsea supera di slancio il Copenaghen ma pesca dall’urna di Nyon il Manchester United. Ancelotti lancia messaggi alla società per chiedere il rinnovo del contratto, anche per rafforzare la sua posizione all’interno dello spogliatoio. Ma viene freddato da Ron Gourlay, il direttore generale dei Blues, che rimanda ogni discorso a fine stagione. Da lì in poi ogni giorno diventa un nuovo esame. Il resto è cronaca. Ancelotti scommette su Torres, un pò per convinzione un pò per convenienza. È l’uomo di Abramovich, il giocatore più pagato della storia del calcio inglese. Per accomodare lo spagnolo ridisegna il Chelsea, sacrificando anche Didier Drogba (143 gol in 300 gare coi Blues). Un azzardo fallito: in 693 minuti Torres non segna un solo gol. Una scommessa persa che pagherà sulla sua pelle, con l’esonero preannunciato a fine stagione, nonostante il contratto con i Blues fino al 2012. Nel suo futuro ci potrebbe essere la Roma di Thomas DiBenedetto, una società che lo attende a braccia aperta. Dove troverà quella riconoscenza negatagli a Londra. Ma anche la panchina del Real Madrid, qualora si consumasse il clamoroso divorzio con Mourinho, è più di una suggestione. Di certo non resterà a spasso. Così come è certo che al suo successore allo Stamford Bridge verrà concesso il minimo tempo indispensabile per soddisfare l’ultima ossessione di Abramovich.