IL MESSAGGERO (M. SORIO) – Della serie: l’accendiamo, è la tua (sua) risposta definitiva? «E io rimango in forse, ché no e sì nel capo mi tenciona». L’ultimo Antonio Cassano, illusionista di se stesso e di due club colpevoli di averci creduto Verona ed Entella è in quel ritratto del dubbio che fa Dante nell’ottavo canto dell’Inferno. «Forse», «no», «sì». E insomma, boh. Mettiamola così: adesso, probabilmente, salvo sorprese, diciamo al netto di Cassano, è la volta buona. Notizia: Fantantonio smette. Salutò l’Hellas due volte, era l’estate 2017, la prima facendo subito inversione a U, la seconda tirando dritto. Ha salutato l’Entella, ieri, pubblicando una lettera sull’organo di stampa personale, cioè la pagina Twitter della moglie Carolina: «Cari amici, è arrivato il giorno, quello in cui decidi ch’è finita per davvero. Ho capito che non ho più la testa per allenarmi con continuità. Per giocare a pallone servono passione e talento, ma soprattutto determinazione e io in questo momento ho altre priorità». Incapace di sentirsi ex sia ex giocatore che ex personaggio per ritirarsi Cassano ha preso una rincorsa lunga, pure troppo: era già finita coi due gol forniti alla Sampdoria 2015/16, gli ultimi di 115 in una carriera da genio con la sindrome di Peter Pan, e i soggiorni tra Verona e Chiavari sono giusto i contorni di un finale che costerebbe il posto anche al più riverito dei copywriter.
LA DECIMA Dieci maglie dieci. Come il numero dei fantasisti. Famiglia di cui Cassano è stato insieme figlio prediletto («Il migliore con cui ho giocato», Francesco Totti) e pecora nera (vedi alla voce Cassanate). Se il 10 è il cerchio, l’Entella (serie C) lo chiude. Quant’è durata? Una settimana. «Mi alleno e vediamo». Non c’era più niente da vedere. Il piede, quello sì perché un piede così mica invecchia, vedi l’unica amichevole in biancoceleste ma tutto il resto, ciao. «Sapevo che sarebbe stata una scommessa ma era giusto provarci. Perché ti sei dimostrato un amico, offrendo il tuo aiuto nel momento più difficile della mia Entella, perché valeva la pena tentare di recuperare un campione che in una famiglia come la nostra avrebbe potuto chiudere la carriera raccontando a Christopher e Lionel una pagina a lieto fine». Così Antonio Gozzi, patron dei liguri e ultimo (gliene va dato affettuosamente atto) dei sognatori.
ARRIVEDERCI Da Bari Vecchia all’Entella passando per Roma, Real, Samp, Milan, Inter, Parma, Nazionale, circa 500 partite e il pallone come coperta di Linus. «Il pallone mi ha dato tantissimo. Mi ha fatto conoscere persone magnifiche, grandi campioni e gente comune. Mi ha tolto dalla strada, mi ha regalato una famiglia meravigliosa e soprattutto mi ha fatto divertire da matti». Nel caos disorganizzato dell’ultimo Cassano c’è comunque (e specialmente) l’ordinata bellezza di una storia d’amore, il pallone portato a spasso da lui e lui portato a spasso dal pallone, fino a quel focolare Carolina e i due figli che ora (forse) detta priorità. Tutto il resto è il campionario di un giocoliere tifato, insultato, coccolato e sgridato. Dal Festival dello Sport di Trento, portato sulla notizia, Gian Piero Gasperini rifletteva: «Sarei stato felice di allenarlo ma non avrei tollerato i suoi atteggiamenti. Se rispettare i compagni significa essere soldatini… È così che ha sprecato le proprie opportunità». L’ultima opportunità era un bel finale. Gettata al vento. Perché oggi, mentre Cassano saluta dal palco, metà del suo pubblico è già fuori dal teatro.