Ecco l’intervista ad Abel Balbo apparsa sul sito ufficiale della Roma. Balbo, soprannominato “il Killer” realizzò 78 goal in 149 partite e fu uno dei simboli della rinascita della Roma verso la fine degli anni ’90.
“Arrivai in una società azzerata dove era tutto da rifare, sono contento di aver risollevato con i miei gol questa squadra”, dice l’ex attaccante argentino, che venerdì sera tornerà nel suo stadio, l’Olimpico, nel consueto spazio pre-partita dedicato alle vecchie glorie romaniste.
Cosa ha significato per lei questa maglia?
“Un motivo di grande orgoglio. Mi ha dato l’opportunità di mettermi in luce a grandi livelli, in uno dei club più importanti d’Europa. Credo di averla sempre onorata”.
Un calciatore straniero, come è stato lei, perché si innamora della Roma?
“Perché si crea un rapporto speciale tra la squadra e la tifoseria. Un legame indissolubile, come non esiste da altre parti. Solo a Napoli, forse, accade la stessa cosa. Io sentivo molto questo rapporto e, ogni domenica, davo tutto per quella gente così appassionata”.
Non a caso correva spesso sotto la Sud a festeggiare i suoi gol.
“È difficile spiegare a parole cosa si prova in quei momenti. Le emozioni che si provano sono forti e posso dire di essere stato fortunato a provarle. Inoltre, il primo gol lo segnai alla Juventus, proprio sotto la Curva. Era destino”.
Peccato che nei suoi anni migliori la sua Roma non abbia vinto nulla.
“Vero, ma posso dire di aver fatto parte del gruppo che ricostruì la Roma dalle fondamenta dopo il periodo della presidenza di Ciarrapico. La società era fallita in tutto, io decisi di restare nonostante le offerte di altre squadre”.
Offerte da parte di chi?
“Nel ’95 fui contattato dalla Juventus, rifiutai. Nel ’97, invece, mi chiamò il Milan, però Zeman si oppose alla mia cessione. Devo dire, comunque, che non ci sarei andato nemmeno io. Avevo scelto la Roma”.
Andò via nel ’98 e tornò nel 2000 nell’ambito dell’operazione Batistuta. Il suo nome risulta tra i campioni d’Italia del 2001 pur non avendo giocato moltissimo. Rammarico?
“Affatto. Ero una figura importante per lo spogliatoio, diedi un contributo nei rapporti pur non scendendo molto in campo. Quello scudetto lo sento mio in tutto e per tutto”.
Quanto è cambiato il calcio rispetto a quello che ha vissuto lei?
“Tantissimo. Sia come gioco in campo, che in quello che circonda il terreno di gioco. Oggi i calciatori sono più divi che in passato. E’ tutto molto differente, ci sono tanti interessi e tante distrazioni”