FOCUS CGR – A Lisbona, a pochi passi dalla tribuna centrale dell’estadio da Luz, si staglia la statua di Eusébio da Silva Ferreira, per il mondo semplicemente Eusebio, il più grande calciatore della storia del Benfica, uno dei più grandi campioni di questo sport. C’è anche l’aquila – simbolo del club – che vola prima di ogni match casalingo. Poi entrando nella struttura, con la giusta deferenza che si deve alla storia di uno delle società più vincenti d’Europa, si rintracciano, qua e là, tra una coppa e l’altra, una serie di foto celebrative dei tanti titoli vinti, dalle più storiche alle più recenti, e in alcune di queste ultime si scorge anche la figura di Josè Boto.
Manager portoghese, 54 anni, Boto (ultimo nome in ordine di tempo, entrato con certezza nel casting del futuro ds giallorosso) è sbarcato al Benfica nel 2007 con una missione, brillantemente portata a termine: creare da zero un reparto scouting funzionale ed efficiente, che fino ad allora non era stato pienamente contemplato dal club. 11 anni in cui il manager lusitano è riuscito ad innalzare notevolmente il valore dei calciatori portati al Da Luz, scovando decine di grandi talenti in giro per il mondo: da Witsel, a Djuricic, da Di Maria, a Jovic, ma anche Matic, Markovic, Rodrigo, Oblak, Funes Mori, Ederson, Raul Jimenez, Bernardo Silva, Talisca, Lindelöf, compresa una nostra conoscenza capitolina: Bryan Cristante, acquistato dal Milan diversi anni fa. Ma facciamo un passo indietro.
Ex allenatore delle giovanili con esperienza allo Sporting, Boto ha capito quasi subito che il suo mestiere dovesse essere un altro. Ha iniziato come scout nell’Alverca, seguendo calciatori sia dal vivo sia su DVD. Il portoghese ha più volte raccontato nel recente passato che il lavoro dello scouting non si può imparare in nessun corso, bensì è un mestiere che si apprende sul campo e non esiste alcuna pozione magica. “Ognuno di noi vede il calcio in maniera diversa. Quando vado in uno stadio, tendo ad ascoltare la voce dei più anziani e prima di tutto cerco di scorgere un calciatore dalla postura e da come sale le scale prima di raggiungere il terreno di gioco”.
Josè Boto in pochi mesi si è trasformato nel deus ex machina del Benfica, dove ha creato una struttura di scouting molto snella, composta da 4-5 elementi al massimo, che viaggiano in maniera vorticosa in giro per il mondo alla ricerca del calciatore giusto da ingaggiare. 13 titoli vinti in 11 anni ma anche quasi 600 milioni di plusvalenze indirettamente prodotte, un tesoro economico che giustifica il lavoro tecnico e finanziario di Boto e del suo staff: “Un dipartimento di scouting aiuta il club a risparmiare denaro. Ti aiuta a non comprare male, a comprare secondo quello che vuole l’allenatore e le spese non sono così grandi come si potrebbe pensare” ha dichiarato di recente in un’intervista. Ma non solo. Chi conosce bene questo talent scout e lo ha visto lavorare, sostiene che ciò che attiri di più la sua attenzione in un giocatore sia il ‘rapporto che ha con la palla’ e quindi la comprensione del gioco, se è intelligente, se comprende il movimento degli avversari e dei compagni di squadra.
La velocità – in termini di selezione, scrematura dei profili e successiva scelta – è per Boto la variabile fondamentale nell’ingranaggio di un ottimo settore scouting, che deve funzionare come un orologio svizzero. Poi contano anche i rapporti umani, in primis con l’allenatore. Boto ama lavorare a contatto diretto con i tecnici, ma anche con la dirigenza, non sovrapponendosi mai in termini di ruoli. La sua attività però si è affinata nel corso delle stagioni calcistiche, tanto da spingersi alle soglie della direzione sportiva vera e propria. Saper rintracciare il giovane profilo dalle realtà periferiche, non significa non essere anche in grado di cogliere delle opportunità di mercato. Accadde con Pablo Aimar, straordinario talento argentino, che Boto e Rui Costa acquistarono dal Real Saragozza nel 2008 – all’età di quasi 30 anni – sfruttando la retrocessione del club spagnolo.
Nel 2018 il talent scout lusitano ha lasciato Lisbona, per sua scelta, ed è passato allo Shakhtar (nel ruolo di coordinatore dello scouting e uomo mercato), spinto dalla volontà di provare una nuova esperienza e in Ucraina ha trovato, un suo connazionale sulla panchina, mister Paulo Fonseca, di cui due anni fa parlava in maniera entusiasta: “Apprezzo la sua idea di gioco. Paulo, per me, è uno dei migliori allenatori portoghesi, forse il migliore, ha un modo di giocare in cui mi identifico“. A Donetsk si è confrontato con una realtà ben avviata sul piano della ricerca dei calciatori, soprattutto in terra brasiliana e ha saputo adattare la sua modalità operativa, non eliminando questa corsia preferenziale che lo Shakhtar ha da anni con il calcio carioca. Boto ha ancora 3 anni di contratto con il club ucraino, segno evidente di una programmazione a lungo termine, che sarà difficile da scalfire.