Dopo 200 volte non c’era il centravanti, quello più grosso, quello più forte, quello che con la sua presenza assicurava alla Roma un posto nel mondo, e ai tifosi uno sfondo per i sogni, un argine alle delusioni. Dzeko non c’era. E si sentiva cantare, si sentiva la passione, la voglia, la festa, la speranza.
Come scrive Marco Bucciantini su la Gazzetta dello Sport, quei 13 mila cantano e la Roma segna: Shomurodov, per esempio. Un tipo silenzioso che cerca la partita ovunque, e per tutti, senza dimenticare di trovarla in area. Sembra il trasferimento ideale del tecnico, sembra l’attaccante ideale per far giocare bene e tirare quella straordinaria batteria di sottopunta, trequartisti, inventori giallorossi.
Il popolo canta: ha perduto il centravanti e vede molti gol, ha trovato un uomo di calcio, del calcio, nel quale vede quell’aggiunta di mentalità che si disperdeva nei momenti buoni, che spariva nei momenti brutti, dilatandoli e rincarandoli di tutto, fino a restare lontani dagli obiettivi. Mourinho che può riempire gli spazi, tutti, quelli fra i reparti, e quelli più insidiosi fra una proprietà atlantica e una necessità capitolina.