CORRIERE DELLO SPORT – «Roma è stato il mio sogno realizzato ». Come si fa a definire “ avversario” Andrea Carnevale? Lui stesso, probabilmente, fatica a vestire quei panni quando dall’altra parte ci sono i colori giallorossi. Ora dirige il settore giovanile dell’Udinese e sabato ritroverà i vecchi amici di quegli anni ruggenti.
Inusuale la definizione di sogno da parte di uno che poco prima aveva vinto lo scudetto col Napoli.
« Ma io sono nato vicino Latina: giocavo a pallone e pensavo che un giorno avrei giocato nella Roma. L’ho realizzato il sogno. Anche se in effetti non è che abbia combinato tantissimo».
Forse è arrivato nel periodo sbagliato.
«Sì, forse sì. Mi volle Bianchi, nel ‘90. Morì Viola, arrivò Ciarrapico e dopo Sensi e Mezzaroma. Un gran via vai di presidenti. La situazione era un po’ incasinata».
Qualche somiglianza con quella attuale?
« Sì. Mi auguro che DiBenedetto sia il presidente giusto però mi sembra strano che si sia preso altri venti giorni per chiudere l’affare. E’ evidente che a livello psicologico sono situazioni che finiscono per pesare sui calciatori».
La sconfitta con la Juve è figlia di questi condizionamenti?
«Non ho elementi per entrare nel dettaglio. Ma da ex calciatore so che le incertezze societarie pesano, le avverti».
Perché?
«I motivi mi sembrano evidenti. I giocatori a volte sembrano superficiali, indifferenti. Ma non è così: la mancanza di certezze ti debilita, da un punto di vista psicologico. A Roma da due, tre anni si parla di cambio della guardia in società. Passano le settimane, passano i mesi, passano gli anni e nulla di definitivo è stato scritto. Psicologicamente, tutto questo pesa».
Si nota questo peso dall’esterno?
«La Roma ha una “rosa” eccezionale. Dovrebbe essere al posto del Napoli, in classifica, invece…»
Ha ancora rapporti con il mondo romano e romanista?
«Certo che li ho. Con Bruno Conti, con Pradè, con Tempestilli».
Vi vedrete prima della partita?
«Come sempre. Bruno Conti, poi, per me è il Campione del Mondo e lo è come calciatore e come uomo. Mi auguro che DiBenedetto costruisca intorno a lui la nuova Roma. Bruno merita di restare lì a vita ».
Insieme a Totti?
«Sì, insieme a Totti. Francesco ha cominciato a giocare nella mia Roma. Era giovanissimo e Boskov lo fece esordire in un’amichevole».
Come lo ricorda?
«Un ragazzino timido ma dal talento straordinario. Si vedeva, si capiva. Boskov intuì le grandi potenzialità di Francesco».
La sua era la Roma di…
«Conti, Tempestilli, Aldair, Haessler, Rizzitelli, Giannini».
Le hanno mai offerto un posto da dirigente?
«No. Mi avrebbe fatto piacere una proposta. Anche perché le mie radici sono sempre a Roma: lì ci sono i miei due figli che vivono con la mamma e che di tanto in tanto mi chiedono di avvicinarni. Ma il mio futuro è a Udine. Questa è una bella città, a misura d’uomo, faccio un bel lavoro».
Nella sua carriera di calciatore, che ruolo ha svolto Udine?
«Un ruolo decisivo. E’ stato il mio primo “esame di laurea”. Alle spalle avevo esperienze in C e in B, ero approdato in A con il Catania…»
Ranieri era suo compagno di squadra.
«Sì, lui stava concludendo la carriera, io cominciavo. Giocatore tosto, anche piuttosto cattivo, persona per bene, aveva un rapporto straordinario con i più giovani».
Da Udine a Napoli.
« Pensi, non volevo accettare il trasferimento. Volevo andare a Roma. Mazza, il vecchio presidente dell’Udinese, mi chiamò e mi disse: Ma come, non vuoi giocare con Maradona? Alla fine, però, accettai: le società avevano fatto tutto. E mi è andata bene perché giocare accanto a Mardona è stata una esperienza unica».
Il Napoli attuale sta facendo rivivere quegli anni. Può puntare realmente allo scudetto?
« Può lottare sino alla fine. Per gioco, determinazione, convinzione è la squadra che mi ha maggiormente impressionato, più del Milan, più dell’Inter».
Il Napoli vostro, però, resta irraggiungibile.
« E’ irraggiungibile perché c’era Maradona. Se in quello attuale ci metti Messi, che è il Maradona del Duemila, pareggi il conto».
Com’era il suo compagno Maradona?
«Come compagno era straordinario, come calciatore, poi… Le dico una cosa che forse le sembrerà strana: ma io solo ora, rivedendo le immagini di certe sue giocate, comprendo pienamente la grandezza di Dego. A volte mi metto sul divano, con i miei figli, metto un dvd e rimango allibito. Giocandoci accanto, avevo una percezione parziale di quel talento».
Un aggettivo per i quattro anni di Napoli?
«Straordinari. E poi la città è veramnente un valore aggiunto: ti coinvolge, ti spinge. La conferma è venuta domenica scorsa: non è facile rimontare la Lazio due volte».
E poi è arrivato il sogno romano…
« Forse le cose sarebbero andate meglio se si fosse concretizzato qualche anno prima. Però, non è che sia stata una esperienza da buttare: una finale di Coppa Uefa, una Coppa Italia. Certo, c’era un po’ di confusione».
La sua Udinese ha rinunciato allo scudetto?
«In realtà noi allo scudetto non ci abbiamo mai pensato. L’obiettivo è la Champions. Dobbiamo giocarcela con la Lazio, con la Roma. Lo scudetto, però, non è roba per noi. La Champions o l’Europa League ce la meritiamo».
In che misura Guidolin ha contribuito a questa crescita?
«Guidolin è un grande professionista. E con lui lavora un gruppo di persone estremamente preparate».
Come vede il Montella allenatore?
«E’ giovane, deve maturare. D’altro canto, il mestiere dell’allenatore non c’entra assolutamente nulla con quello del calciatore. Non ti intendi di calciatori solo perché sei stato calciatore: l’ho capito perfettamente quando ho smesso di giocare. A quel punto devi cominciare a fare una nuova gavetta, devi studiare. Però, la Roma mi sembra una squadra ordinata segno che Montella non è uno sprovveduto».