Chiamatelo Super-sub. Per Dzeko due panchine e due gol in 8 giorni

Chiamatelo Super-sub. Per Dzeko due panchine e due gol in 8 giorni

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La Gazzetta dello Sport (D.Stoppini) – Quel soprannome non l’ha mai digerito, ma non s’offenderà mica Edin Dzeko se lo ritiriamo fuori. Super-sub, lo chiamavano così a Manchester perché era il dodicesimo uomo di Roberto Mancini al City: entrava dalla panchina e bum bum, un gol dopo l’altro, una partita decisa dopo l’altra, una risata e una sofferenza dimenticata dopo l’altra. «Ma no, non mi piaceva essere chiamato così, perché io in realtà soffrivo a stare fuori, preferivo essere il titolare». Però ci sono i momenti. Le situazioni. E le settimane. Prendi questa qui: da Palermo al Sassuolo, otto giorni, due panchine, due gol entrando in campo e spaccando match che – prima del suo ingresso – vivevano sul filo sull’equilibrio. Gioco, partita, incontro: serve Dzeko, ace del bosniaco e tutti a casa.

REGALO DI COMPLEANNO – Ventuno gol in campionato, 31 stagionali, Super-sub o no poco cambia. Però, com’è diverso il suo impatto sulla Roma. Tanto per dire: ha giocato solo un terzo di partita, eppure ha fatto in tempo a risultare il giocatore che ha tirato di più in porta dei suoi. Non è più tipo da «musino» lui, quella definizione che Spalletti accosta a chi entra in campo a partita in corso un po’ così, con l’animo triste e il piedino moscio. Papà Edin s’è fatto una risata: Sofia e Una, le due figlie, gli hanno preparato una torta grande così venerdì 17, che porta sfortuna solo a chi alla sfortuna crede. Era il suo compleanno, venerdì, il giorno dopo il Lione: 31 anni e tante risate. Magari ha festeggiato meglio l’«happy father’s day» di ieri, se è vero che a casa Dzeko spesso e volentieri si guardano le partite con il sottofondo dell’inno di Venditti. Ieri no. Ieri Una e Sofia erano allo stadio e a fine partita si sono infilate nel tunnel degli spogliatoi, perché una festa del papà con gol annesso non è roba per tutti. Romanisti si può diventare, anche se vieni dalla Bosnia e i trofei li ha già alzati in Germania e in Inghilterra. Manca l’Italia, a Edin. C’è la Roma, che gli sta dando una continuità che forse neppure lui immaginava, alla fine di una stagione passata un po’ così, la scorsa: otto gol nelle ultime nove partite di campionato. Aspettando l’inserimento della Roma nella volata per la lotta scudettoSpalletti dixit –, Dzeko una volata a suon di gol l’ha già lanciata, meno uno da Belotti, per un titolo individuale che non è dipinto di giallo e rosso dal 2007, l’anno della Scarpa d’oro di Francesco Totti.

CONVIVENZA Eppure qui Dzeko vive un’altalena di emozioni che non avrebbe senso di esistere. Come se fosse al centro di un giudizio perennemente sospeso: non sono e non saranno i gol, l’infinità dei 31 gol segnati, a tirare una linea definitiva. Sono bastate invece un paio di partite un po’ al di sotto della media e una prestazione insufficiente contro il Lione per far tornare d’attualità i mugugni, i dubbi, i «siamo sicuri che sia proprio lui il centravanti giusto?». Giro di valzer, Dzeko entra e segna con il Sassuolo: vale almeno un paio di settimane di tranquillità. Il cambio di passo, però, è tutto qui: un anno fa di questi tempi erano solo «musini», ora sono solo gol.

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