GAZZETTA DELLO SPORT – M. CALABRESI – Christian Panucci non ha la banalità nel dna. Non l’ha avuta da giocatore, non ce l’ha ora da dirigente, nello staff di Capello con la Nazionale russa. Ha girato il mondo, ma Roma è casa sua. E a casa sua, le cose non vanno: oggi è forse l’ultima occasione per cambiarle. Roma-Inter, storia di due finali di Coppa Italia vinte: una, quella del 6-2 del 2007, impreziosita anche da una sua doppietta. «Per come si è messa la stagione, la Coppa Italia è fondamentale — dice —. Sarebbe una scorciatoia per l’Europa, un modo per provare ad alzare un trofeo, nonché una delle poche strade per far riguadagnare fiducia all’ambiente».
Cosa cambia tra affrontare l’Inter in campionato o in Coppa?
«Nella testa di Zeman, nulla. Ma il fatto di trovare l’Inter dopo soli tre giorni è un vantaggio: la Roma, domenica, avrebbe meritato di vincere, e sa di poter far male all’Inter».
Si aspettava che si potesse già parlare di ultima spiaggia?
«Per la rosa che ha la Roma, no. Con Zeman si sapeva che sarebbe servito tempo, ma dieci punti dal terzo posto sono troppi».
Qual è il problema, allora?
«Innanzitutto la continuità. Vincere tre partite di fila e poi perderne due non porta da nessuna parte. E quando si fatica a trovare costanza, anche gli obiettivi minimi diventano difficili».
Dividiamo le responsabilità. Giocatori?
«Nessuna. A loro non si può dire niente, hanno sempre dato tutto. Qualcuno, però, non ha capito cosa vuol dire indossare questa maglia».
Zeman?
«La storia parla chiaro. Le sue squadre segnano tanto, ma prendono tanti gol. E i campionati sono stati vinti più spesso con le difese che con gli attacchi. Zeman è questo, non è cambiato. Ma sta avendo il merito di valorizzare tanti giovani».
Società?
«Ha fatto una scelta coraggiosa nel prendere Zeman, e fa bene a difenderla. Il giudizio va rimandato a fine stagione: Baldini è una persona onesta, e il primo a rendersi conto se a giugno sarà stato un fallimento».
E la piazza?
«Si sta comportando in maniera esemplare. I tempi sono cambiati: quando ero giocatore io, bastava un’eliminazione dalla Champions per portare tifosi a Trigoria. C’è anche da dire, però, che quando i tifosi si facevano sentire, qualcosa in noi scattava…».
È fatta per Torosidis. Era veramente il terzino la priorità?
«Sì, è un buon giocatore. Un terzino di esperienza ci voleva, anche perché a destra c’è solo Piris che ha bisogno di rifiatare».
Da un greco all’altro: Tachtsidis è così acerbo per la Serie A?
«Giudizi ingenerosi. Ha qualità, ma soffre il paragone con De Rossi, che Zeman e la città ormai fanno costantemente».
Possibile che la Roma possa prescindere da De Rossi?
«Assolutamente no. Daniele è il primo a rendersi conto di non vivere il suo miglior momento, ma non può mai rimanere fuori, né dipendere dall’impiego di altri giocatori».
Oltre Totti, l’unico insostituibile é Marquinhos. Se lo immaginava?
«È un giocatore straordinario, come ne ho visti pochissimi a quell’età. Complimenti alla società. In prospettiva può diventare più forte di Thiago Silva».
Le era capitato di vedere ragazzi di 18 anni così pronti?
«De Rossi: la prima volta che si allenò con noi era già “giocatore”. E a Madrid mi trovai un 16enne che mi impressionò: Samuel Eto’o».
Ha lavorato con Zamparini, e non è andata bene. Con Zeman lavorerebbe mai?
«Sto benissimo con Fabio Capello. Con la Russia sto vivendo un’esperienza straordinaria».
Gli allenatori vanno all’estero, i migliori giocatori pure, gli italiani emigrano. Siamo davvero scesi così in basso?
«Una volta eravamo i primi. Ora, tra fiscalità, stadi di proprietà e programmazione, non lo siamo più. Se le tasse, all’estero, sono la metà che da noi, le società non possono fare mercato, i giocatori vanno altrove e il livello tecnico si impoverisce».
In Italia, invece, anche le ultime elezioni dei vertici federali e di Lega non hanno portato novità.
«Qui non c’è voglia di crescere, e ci sono troppi incompetenti».