Da Conti a Tommasi, se il fischio fa bene o male

Da Conti a Tommasi, se il fischio fa bene o male

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tommasiIL ROMANISTA – M. IZZI –  Tema del giorno: i fischi a Tachtsidis, ovvero riflessioni varie su una tipologia di situazione in cui presto o tardi qualsiasi giocatore di calcio si trova a fare i conti.  Un mucchio di anni fa Romolo Alzani (che ahimè ebbe una lunghissima carriera nella Lazio ma che nella Roma, per giunta di Testaccio, era nato e aveva esordito) mi disse: «Vedi se il pubblico fischia una squadra, quella squadra la carichi, ma il singolo lo ammazzi».  A distanza di tanto tempo sono arrivato a credere che il grande Alzani avesse ragione solo in parte.  A fare la differenza, per come la vedo io, rimane sempre il carattere del giocatore.

C’è stato ad esempio chi, come Paolo Conti, è uscito dall’esperienza dei fischi così psicologicamente provato da renderne impossibile la permanenza a Roma. Conti era stato per alcune stagioni l’emblema stesso della Roma, unico giallorosso ad aver preso parte ai Mondiali d’Argentina, vice del “monumento” Zoff, insomma, un signor giocatore. Eppure qualcosa s’inceppò, il portiere rispose con un gesto di stizza ad alcuni malumori del pubblico e fu l’inizio della fine.

Il 5 dicembre 1979, addirittura, seduto in panchina durante il match di Coppa Italia contro il Milan, finì, in aperta polemica con Liedholm e con l’intero ambiente, per rientrare negli spogliatoi a gara ancora in corso. Dopo il 2-2 dei rossoneri, Liedholm sollecitò i propri collaboratori per far scaldare Conti che avrebbe dovuto rilevare un Tancredi acciaccato … e a quel punto dovettero spiegare al Barone che il suo dodicesimo se n’era andato …. Fine dei giochi. I fischi però raramente, molto raramente, sono così devastanti. Ramon Lojacono a tre giorni dalla finale d’andata della Coppa delle Fiere contro il Birmingham armò un autentico pandemonio per i fischi ricevuti durante il match interno con il Catania.  Il Cisco che era stato “beccato” perché i tifosi non avevano gradito le indiscrezioni su un suo possibile trasferimento alla Juventus, reagì cercando di abbandonare il campo. Vincenzo Biancone e mezza squadra dovettero faticare sette camice per convincerlo a desistere. Eppure, con il tempo, il feeling con i tifosi tornò saldo come prima.

Ci sono i giocatori, come “Lojacono” che hanno l’assoluta necessità di esternare i propri stati d’animo: gioia, entusiasmo, tristezza e rabbia, altri, come Damiano Tommasi, tengono quasi sempre tutto dentro.  Per certi versi può essere un limite, perché, come diceva Marcello Mastroianni nel bellissimo “Che ora è?”: «Nella vita le cose bisogna dirsele, bisogna parlare» ma ripiegarsi su se stessi può anche permettere di raccogliere tutte le energie necessarie per uscire da un periodo di crisi. Tommasi ha passato non una partita, ma interi mesi a ricevere fischi.  Non convinceva tecnicamente. Cosa è accaduto poi? Che centimetro dopo centimetro, minuto dopo minuto, gara dopo gara, si è imposto, prima per grinta fondo e impegno e poi anche per capacità tecniche e tattiche sino a diventare uno dei centrocampisti più forti del mondo. Tommasi era dappertutto, disponibile a sacrificarsi per la squadra in ogni ruolo … persino quello di portiere, visto che il 12 gennaio 1997, dopo l’espulsione di Cervone, finì a difendere i pali della porta giallorossa. Nacque così la leggenda del coro “11 Tommasi”… Potremmo continuare all’infinito visto che da un nugolo di fischi riemersero vincenti, in epoche e con storie diverse, anche Carlo Petrini, Marco Delvecchio, Simone Perrotta e tanti, tanti altri. Il segreto per farli passare è uno solo grinta, lavoro e carattere.

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