Sono pochi a non abbandonare il carro mentre vi scende colui che, fino alla notte del 29 ottobre, era il vincitore indiscusso. Luciano Spalletti, retrocesso dalla Champions in Europa League. Era un lunedì sera, e l’Inter aveva asfaltato la Lazio all’Olimpico: 3-0. La data è importante. Un mese e mezzo fa. Sabato 3 novembre si giocò Inter-Genoa. Il Genoa (di Ivan Juric, ancora) aveva recuperato la partita con il Milan appena tre giorni prima, si ripresentò a San Siro sfinito, ne prese cinque. E così i successi consecutivi dell’Inter, e di Spalletti, diventarono sette. Come sette erano stati ai tempi di Stefano Pioli. Come scrive la Gazzetta dello Sport, l’allenatore è importante, ci mancherebbe, ma gode di un rango che va dal deus ex machina al «capo» espiatorio. Prendete la Juventus: se vince la Champions, l’avrà vinta Cristiano Ronaldo; se la perde, l’avrà persa Massimiliano Allegri. È un gioco che, da Mourinho in giù, gli stipendi corrisposti rendono assolutamente sostenibile. Pagati per pagare: da sempre. Ogni tanto, però, scoprire l’America serve per aggiornare i confini della mappa. I giocatori, loro, ormai vanno in campo con l’alibi incorporato. (…) Un altro è Eusebio Di Francesco. In undici contro undici, la Roma conduceva 2-0 a Cagliari. In undici contro nove, viceversa, ha pareggiato 2-2. Secondo voi, cambi a parte, cosa potrà mai aver suggerito dalla panchina in momenti così concitati? «Ragazzi, andate pure al bar, è fatta». Suvvia.