Dai comportamenti agli atteggiamenti: la soluzione dei problemi cambia nome

Dai comportamenti agli atteggiamenti: la soluzione dei problemi cambia nome

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IL MESSAGGERO (A. ANGELONI) – Un motivatore-valorizzatore per Schick, uno psicologo (ma forse basta un semplice calmante) per Dzeko, un medico-fisioterapista per Pastore, che è ko per la terza volta. Non basta l’allenatore, serve sempre altro. Quando mancano i risultati, ci si innervosisce, guarda caso ci si fa male più spesso e si recupera con fatica. A Trigoria ci si appella alla dea casualità, ma poi c’è sempre l’abbonato alla dietrologia, per il quale il calciatore infortunato decide di stare a guardare, magari di nascosto, l’effetto che fa, piuttosto che cogliere l’occasione e provare a stupire. Del resto se un calciatore ti dice che sta male ci devi credere. Per forza. E pace.

POSSIBILITÀ – I problemi sono altri. Gli atteggiamenti, li chiama Di Francesco; comportamenti, invece, Spalletti. Una parola che ne contiene tante. In campo – e tralasciamo la questione infortunati/acciaccati – si traduce in applicazione tattica, concentrazione, morale. Un esempio, e torniamo a Pastore: la palla si può perdere, ma poi l’avversario va rincorso, anche se hai i piedi delicati o il tacco del Signore. Altri esempi, i chiacchieroni. Quelli, ad esempio, che fanno la voce grossa, quelli che se non gioco me ne vado, quelli che mandano avanti i procuratori, i super manager, i motivatori. Ce ne sono stati e ce ne sono ancora, un continuo. A Trigoria – l’allenatore in primis – provano a combatterli, ma non sempre ne escono vincitori. Stasera c’è bisogno di fatti, da chi fino a ora ha parlato, esagerando. Dzeko deve ritrovare la serenità, quella che gli faceva apparire il sole a Roma anche quando c’erano le nuvole. Oggi è il contrario. E la Roma perde punti, perché alla Roma servono i suoi gol. I suoi vecchi atteggiamenti giusti, quelli che trascinano. Karsdorp è stato punito per i suoi atteggiamenti sbagliati, ma i risultati del castigo non li conosciamo, perché si è fatto male di nuovo ed è fermo ai box. Per vincere non c’è bisogno del mental coach, di un medico personale, di un educatore. Sì certo, tutto può aiutare, ma in teoria in un gruppo – se sano – basta un allenatore e remare insieme verso la stessa direzione, seguendo le regole, appunto, di comportamento. Questo, dall’esterno, non si nota (lo scorso anno invece sì, era evidente). Stasera c’è un grande appuntamento, una grande occasione. La Champions per ricominciare. Chi vuole partecipare si accomodi, tanti saluti a gli altri.

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