Il problema non è solo della Roma e di Montella, ma anche della Nazionale e di Prandelli. Il quale ha edificato il centrocampo su Daniele De Rossi, facendone, e non solo idealmente, il riferimento della squadra. Lo ha fatto giocare dall’inizio 5 partite su 7, ha cambiato i suoi compagni di reparto, ma non il romanista. In Nazionale, De Rossi e Pirlo, se stanno bene, sono titolari, gli altri girano. Ma quanto può servire un giocatore che, nonostante gli anni e l’esperienza, non riesce a contenere certi eccessi di agonismo? Cinque anni fa, nel Mondiale in Germania, Lippi lo mise in castigo per la famosa espulsione. Non gli rivolse la parola per un po’ di tempo. «Va lasciato cuocere nel suo brodo», disse il ct campione del mondo. De Rossi aveva l’età giusta per imparare. Non può farlo Prandelli. O meglio, può lasciarlo fuori ma non perchè gli serva da lezione. E la realtà è che di un giocatore di quello spessore è difficile fare a meno. Va punito e recuperato, criticato e sostenuto: la Nazionale, come la Roma, ha bisogno del suo calcio, del suo temperamento (senza eccessi), del suo furore agonistico. Gattuso, il suo modello di riferimento in tutti i sensi, l’ha combinata grossa all’andata col Tottenham, si è pentito, ha chiesto scusa e qualche giorno dopo ha segnato il gol-vittoria contro la Juventus. Ecco, quella deve essere la strada di De Rossi.