De Rossi: “Il mio infortunio più grave”

De Rossi: “Il mio infortunio più grave”

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IL TEMPO (M. VITELLI) – L’infortunio, il passato, il futuro. Daniele De Rossi si confessa a Dazn e lo fa con la solita sincerità, tracciando linee, fissando ricordi, pensando a quando, tra non molto, il fisico dovrà cedere al cuore e alla voglia di correre e sudare per la Roma. “Questo al ginocchio è l’infortunio più grave della mia carriera. Si parla di cartilagine, ho subito una lesione grave. A trentacinque anni, dovesse riaccadere, sarebbe la fine”. Non potrà essere in campo contro la Juventus, ma a Torino ci andrà lo stesso perché è capitano vero e sa che la sua presenza fa bene al gruppo. “Dagli juventini, che spesso ho avuto come compagni in Nazionale, ho imparato che i grandi professionisti hanno in testa dalla mattina alla sera solo il risultato che devono portare a casa la domenica. Io mi rivedo in questa mentalità”. Parole che pesano, soprattutto alla luce dell’attuale situazione romanista. “Ora abbiamo talmente tanta pressione addosso che non viviamo bene l’attesa del match contro la Juventus. Siamo in un momento delicato, sappiamo che dobbiamo fare meglio e vogliamo disputare una grande partita, più per noi che per l’importanza della sfida”. Dagli States Pallotta ha tuonato che chi non merita sarà fatto fuori. “Siamo tutti sotto osservazione, mister compreso. E lo sappiamo”.

Con la sua esperienza prova poi a darsi una spiegazione sul perché le cose non stiano andando come dovrebbero. “La squadra è forte. L’errore che abbiamo fatto è stato di parlare troppo dei giocatori che sono partiti”. Da Capitan Futuro alla fascia al braccio, ma ancora per poco. “Quando ero piccolo avrei firmato per giocare la metà delle partite che ho fatto in serie A, sono un privilegiato”. A molti piacerebbe fare il calciatore, Daniele ci è riuscito con la maglia che vive come una seconda pelle. “Ho fatto il lavoro che amo, nella città che amo e con le persone che amo. Quando smetteró mi farà male, mi pesa guardare sotto il burrone perché la fine è vicina”, ammette. “Se accadrà fra sei mesi, un anno o tre non lo so, ma siamo agli sgoccioli”. Il futuro, comunque, resterà il calcio. “Sogno di fare l’allenatore – confessa – ma so che è un lavoro difficile. Quello che mi spaventa di più è dover fare cento interviste a settimana”. In famiglia c’è un maestro d’eccezione, suo padre Alberto, da anni alla guida della Primavera giallorossa. “Da lui posso imparare tanto, non ha avuto l’ambizione di diventare il nuovo Guardiola, Sacchi, Mourinho. Mi dice che allenare è bello, ma che è anche un lavoraccio”.

In Champions ritroverà il Porto. “La prima volta fui espulso, è un peso che ancora mi porto dentro. Ora penso solo che è la squadra che ci divide dalle prime otto d’Europa”. Daniele è cresciuto a pane e pallone, così tanto che tutto ruota intorna al football. “La famiglia, ovviamente, è la cosa più importante, ma è il calcio ad essere il primo pensiero della mia vita perché mi rende felice. Non riesco proprio a farlo passare in secondo piano come fanno molti miei colleghi”. Forse anche perché lui difende i colori della sua città. “Per essere un professionista ed ottenere grandi risultati non serve essere romanista o tifoso di un’altra squadra. Io peró lo sono, fa parte della mia vita”. E lo ha ampiamente dimostrato.

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