CORRIERE DELLO SPORT (A. POLVEROSI, A. SANTONI) – Difensore scivoloso, difensore pericoloso, sentenziava alla sua maniera Er Magara (Carletto Mazzone), ai suoi tempi. Sarà, ma il Daniele De Rossi visto ieri, soprattutto in avvìo di partita, è stato uno spettacolo esaltante, una sorta di novello Franco Baresi, caparbio e pronto a chiudere in ogni modo tutti i pertugi al fraseggio insistito delle Furie Rosse. Lì era fondamentale far capire agli spagnoli che il romanista non era stato messo in quella posizione per ripiego ma per scelta condivisa e di prospettiva. Poi il discorso è andato avanti, soprattutto nel dopo gara. Con il centrocampista-difensore, bisognerà ora dire così, piuttosto lesto nel ringraziare Luis Enrique, il primo ad averne individuato l’evoluzione tattica, e Prandelli, e a mandare un messaggio molto diretto al nuovo tecnico giallorosso, Zeman, definitivo nell’escludere un suo utilizzo arretrato (da difensore centrale) nella Roma. Il concetto di De Rossi è questo: «Se rischio di giocare anche nella Roma come difensore? Non credo: Zeman ha già detto che non giocherò in quel ruolo. Credo di essere andato molto bene, anche per l’aiuto dei miei compagni. Vorrei ringraziare Prandelli, che mi ha dato fiducia in quel ruolo, ma soprattutto Luis Enrique che mi ha visto prima di tutti come difensore centrale».
Con De Rossi il riavvìo dell’azione è stato sempre di prima qualità, ma se qualcosa non ha funzionato è stato perché insieme alla prestazione del romanista non ce n’è stata una dello stesso tenore di Pirlo. (…) «E’ un paradosso, ma le loro occasioni migliori sono nate non dal possesso palla, bensì da palloni persi da noi». L’osservazione di De Rossi è quella di chi vede il calcio come un allenatore.
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