Dzeko, Manolas, Nainggolan oggi, Batistuta, Samuel, Tommasi 16 anni fa. C’è un oceano tra quella Roma e questa. C’era una squadra che partiva con il chiodo fisso dello scudetto, guidata da Fabio Capello. Questa Roma qui gioca di rincorsa e strada facendo spera capiti l’occasione, la curva buona, il circuito dove piazzare la traiettoria vincente. È una squadra che ha meno cavalli nel motore e quattro punti in meno di quella. Ma che ha distribuito fin qui le sue forze in maniera simile a 16 anni fa. Bilanciamento offensivo, perché c’è un +17 sulla casella differenza reti che questa Roma ha espresso con 33 gol fatti e 16 subiti, mentre Capello si «limitò» a 9 reti incassate e 26 segnate.
E alla fine la felicità la trovi con i giocatori. La trovi con un muro che intimoriva solo a guardarlo in faccia: Samuel stava a quella Roma come Manolas sta a questa. Non è in discussione il potenziale dei due giocatori, ovvio. Ma il peso specifico per i due allenatori è assai simile. Il greco sta bene: il derby sarà suo. E sarà pure di Nainggolan, che non è un’anima candida, non ha i riccioli ma la cresta, eppure è l’altra faccia della stessa medaglia: la riconquista del pallone è materia che Spalletti chiede a Radja di approfondire il più avanti possibile, fin quasi al limite dell’area avversaria, e che Capello, invece, spingeva Tommasi a fare senza soluzione continuità. Quella continuità di rendimento che Dzeko sta avendo oggi: del paragone e del miglior rapporto minuti/ gol del bosniaco s’è già dibattuto. Quel che va ribadito è che, oggi come allora, la Roma non è scindibile dal suo centravanti.
Fonte: Gazzetta dello Sport