E Tacopina torna sotto la Sud

E Tacopina torna sotto la Sud

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IL ROMANISTA – D. GALLI – Forse, solo adesso l’italoamericano Joe Tacopina è tornato veramente a casa. Adesso che è andato sotto la Sud, prima ancora che sotto la collina di Monte Mario, là dove era nato il papà e dove ancora vive qualche parente. Qualche Jacopina, e non Tacopina. Perché così si sarebbe dovuto chiamare il vicepresidente della Roma, se non fosse stato per un maldestro errore di trascrizione di un impiegatucolo dell’anagrafe americana.

Altri tempi, tempi disgraziati, tempi di italiani che cercavano l’America e non sempre la trovavano, tempi dove gli italiani che sbarcavano a Ellis Island non contavano nulla. Tacopina señor l’America l’ha invece trovata. I suoi sacrifici hanno permesso al figlio di diventare quello che è: uno dei penalisti più famosi di New York, oltre che l’uomo senza il quale probabilmente la Roma americana sarebbe rimasta nel cassetto dello Studio Tonucci. Lì dove venne riposta dopo quella estenuante trattativa che portò Soros a tirarsi indietro. Capitolo chiuso, ormai.

Tacopina sotto la Sud. È successo in un giorno triste per i laziali. Quello del derby. L’ultimo. Triste, perché ha generato negli altri vacue illusioni, miraggi di supremazie cittadine che mal si combinano col futuro che ormai è già quasi presente: noi abbiamo gli americani, Baldini, Sabatini e Fenucci, Pannes e Tacopina, Arshad e Winterling (l’ex capo del marketing dell’Adidas), una società strutturata. Loro, al massimo, hanno Tare. Tacopina sotto la Sud. Ci è andato non per cercare applausi, che la Curva tributa solo a chi decide lei e quando vuole lei. No, Big Joe voleva salutare gli amici del Roma Club New York, quei ragazzi con i quali nella Grande Mela vedeva le partite della Roma prima di fare il grande salto.

Prima di decidere che era giunto il tempo di riprovarci, perché la società era in vendita, perché stavolta si poteva fare, perché per interlocutore aveva un certo Mauro Baldissoni, l’avvocato romano e romanista che aveva seguito in prima persona il dossier Soros. A Trigoria raccontano che il sogno di Tacopina sia ora un altro: andare nella Sud, non solo sotto. Anzi, tornarci. Ci è già stato quattro o cinque volte. La prima, dieci anni fa. Anzi, meglio ancora: dieci anni e dodici giorni fa. Era 10 marzo 2002. Montella, Montella, Montella, Montella. E poi il cucchiaio di Totti accompagnato da quello storico  dimme-cheentra di Carlo Zampa. Una notte leggendaria, una notte che può convincere un italoamericano romanista a spegnere la tv per regalarci l’America. Da Ellis Island a Monte Mario, passando per la Sud. Era il destino di Joe Tacopina.

 

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