IL ROMANISTA – D. GIANNINI – Un simbolo. Così Rudi Garcia ha definito il gol di De Rossi a Livorno. Il segno che qualcosa è cambiato, che Daniele e la Roma possono voltare pagina. Insieme. Che qualcosa del genere potesse accadere era a dir la verità nell’aria. Facile dirlo dopo, con i 3 punti nel cassetto, ma c’erano stati già altri simboli, altri segnali, dichiarazioni di stima reciproca tra il nuovo allenatore e De Rossi. Avvisaglie di una sintonia che si stava creando. Che è importante, in alcuni casi addirittura fondamentale, ma che non è sufficiente per trasformarsi in risultati sul campo, in reti realizzate. Quelli sono arrivati domenica sera, tutto in uno. La prima importantissima vittoria della Roma per cominciare a spingere via i nuvoloni della tempesta del 26 maggio e il primo centro di Daniele dopo un anno e 4 mesi di astinenza. Tantissimi per uno, come dice lui, abituato a segnare 4, 5, 6 gol a stagione. Eppure, l’inizio col timbro di De Rossi non è una novità. Quella del Picchi è stata solo la conferma che DDR, oltre ad essere un giocatore totale, è anche l’uomo delle prime volte. Nei tabellini delle giornate numero 1 dei campionati di Serie A per 4 volte c’è il suo nome.
L’ultima l’altro ieri, la prima nel 2005-2006. Era il giorno di un altro debutto, quello di Luciano Spalletti. A Reggio Calabria fu subito tempo di sorrisi per un 3-0 aperto da Mancini e chiuso da Nonda. Un anno dopo la storia si ripete: ancora Mancini, soprattutto ancora De Rossi. 2-0 proprio contro il Livorno, proprio come è successo questa volta. Con Spalletti il feeling si era creato, eccome. Così come quello tra De Rossi e Luis Enrique. Il debutto di Lucho fu da incubo con la sconfitta in casa contro il Cagliari. Ma Daniele, che nel tecnico spagnolo credeva fermamente, provò a salvargli la giornata. Gol al minuto 94, troppo tardi per rimediare a quelli del solito Daniele Conti e di El Kabir. Il cerchio di quella stagione si chiuse qualche mese più in là, il 13 maggio, con la vittoria inutile a Cesena col gol numero 4 in stagione di De Rossi. L’ultimo, fino a Livorno. Il simbolo, l’inizio.
L’ennesima prima volta per uno che le prime volte non le vive, le divora. Da sempre. Prima volta da titolare all’Olimpico, di gambe che tremano neppure l’ombra. A tremare, a gonfiarsi, è la rete. Ed è vittoria per 3- 1 sul Torino. Era il maggio del 2003, aveva appena 19 anni. Un anno e qualche mese dopo, a 21 appena compiuti, ecco la Nazionale. Quella con la enne maiuscola, quella dei grandi, quella che deve qualificarsi per un Mondiale che Daniele vincerà segnando il suo rigore nella finale. E’ il 4 settembre, a Palermo c’è la Norvegia, è il suo debutto, è una notte per De Rossi che segna e l’Italia vince 2-1. E l’azzurro l’ha tenuto a galla nella stagione scorsa. Storta sotto tutti i punti di vista. Storta per De Rossi, storta per la Roma che poi sono la stessa cosa. Ma ora la Nazionale non conta, ora c’è il giallorosso, c’è la squadra che «ho un solo rimpianto, quello di poter donare alla Roma una sola carriera». C’è la voglia di tornare a sorridere anche qui, con Rudi Garcia che «Ci sta dando un’identità precisa». Anzi, il sorriso è già tornato: boom e palla all’angolo. Un simbolo, un segno.