CORRIERE DELLO SPORT – G. DOTTO – Le squadre di Zeman sono pazze sì, ma escono alla distanza, schiantano le avversarie sul piano atletico. Questa è solo pazza e nel secondo tempo c’è una sola squadra in campo, il Catania di Paglialunga e di Ricchiuti. La terza sconfitta esterna consecutiva, a più di metà campionato e a otto, forse dieci punti dalla terza, il Napoli, urlano una sola cosa. Fallimento. Non inferiore a quello di Luis Enrique, ma più bruciante. E fa più male. Perché viene dopo il primo e perché le attese, stavolta, erano più forti.
Zeman non c’è, a meno che non sia quel totem in panchina che ogni tanto libera un colpo di tosse. Non c’è, ma impone le sue stravaganze. De Rossi in panchina, anche quando il greco ha il marmo nei polpacci. E Goicoechea? Ha tentato ieri di replicare l’exploit del derby e quasi ci riesce. «Bravo di piede», ci pigliano per il culo da mesi. Ieri tre rinvii e tre comiche. Stekelenburg può tranquillamente preparare istanza di mobbing. Vince facile. Zeman non si scompone e quando si scompone lo fa per togliere Marquinho, fin lì il migliore (e comunque i venti minuti di Dodò sono stati la sola consolazione della giornataccia).
E pure. Senza Totti, Pjanic, Marquinhos e Osvaldo, poteva bastare la buona Roma del primo tempo. Perfino interessante nel dimostrare che si può giocare anche senza il Dio Sole là davanti, ma trovando più varianti e attivando risorse altrimenti latenti. Il guaio grosso era quel ragazzo lì in mezzo all’area. E’ da mascalzoni infierire, ma i tifosi feriti diventano mascalzoni. Destro è un corpo estraneo anche a se stesso. Non ho ancora capito se sia più limitato o spaventato. In entrambi i casi, è un debito che corre (male) su due piedi modesti. Top player? Per ora, Topica Player. Lui che si nasconde la faccia nella maglia dopo l’ennesimo strafalcione è il poster del suo passaggio a Roma. Lui si vergogna in campo, noi pure. A casa.