IL TEMPO – Vecchi amici? Mica tanto. Semmai un gruppo di ex romanisti pronti a presentarsi con il coltello tra i denti sabato all’Olimpico. Dal manico Pradè, al condottiero Montella fino alle pedine Aquilani, Pizarro e Toni, ognuno con un buon motivo per cercare una rivincita. Roma-Fiorentina assomiglia tanto a una resa dei conti più che a una sfida per la Champions. C’è di tutto dentro. Storie diverse, piene di nostalgia, ricordi più o meno belli e anche un bel po’ di astio. Prendiamo il caso di Montella. Dopo esserselo goduto da giocatore, la Roma lo ha fatto diventare prima un allenatore dei giovani e poi di serie A, lui ha raccolto i cocci lasciati da Ranieri e ha soltanto sfiorato il piazzamento in Champions, quello che probabilmente gli avrebbe garantito la prima panchina dell’era americana.
Baldini e Sabatini hanno scelto Luis Enrique, Montella ci è rimasto un po’ così e ha comunque trovato un dolce approdo a Catania. Quando Lucho si è arreso, la Roma si è sentita quasi costretta a richiamare Vincenzino, invocato a gran voce da una piazza che, in parte, continua a farlo. Ma i dirigenti e l’aeroplanino non si sono «piaciuti». Per nulla. «Se mi offriste solo un euro di meno di Luis Enrique, la prenderei come una mancanza di rispetto» è stato l’approccio aggressivo di Montella nella trattativa sull’aspetto economico. Non solo. Il suo programma di rilancio non prevedeva l’utilizzo di Lamela: «Potremmo mandarlo in prestito» il consiglio dell’allenatore. Ripensandoci oggi, Montella si è sbagliato. Come ai tempi Carlos Bianchi si sbagliò con Totti. Baldini e Sabatini hanno virato così su Zeman e la Fiorentina ha sistemato l’aeroplanino sulla panchina viola. Decisivo è stato l’intervento di Pradè, nel frattempo approdato a Firenze. Un dirigente che a Trigoria ci ha passato 11 anni di vita e passione per la Roma.
Quando ha capito che non rientrava nel progetto americano, le ha provate tutte prima di arrendersi. Una sera di due estati fa si è incontrato con il suo successore in pectore, Sabatini, e gli si è proposto come vice. «Tu fai Branca e io faccio Ausilio, come nell’Inter», la proposta di Pradè. L’idea è subito naufragata e la chiamata Fiorentina ha restituito entusiasmo al dirigente che si è preso belle soddisfazioni sul mercato:Borja Valero, Roncaglia, Rodriguez e, ovviamente, una truppa di ex romanisti che solo lui e Montella potevano convincere. Senza la soluzione viola, Pizarro sarebbe probabilmente ancora sul groppone della Roma. Ma la sua storia in giallorosso, dopo anni bellissimi, era finita da un pezzo. Nessuno a Trigoria ha dimenticato i suoi capricci con Ranieri, quel viaggio prolungato in Cile e la guarigione «miracolosa» appena arrivato Montella sulla panchina della prima squadra.
Poi, con Luis Enrique, il cileno ha rimesso il muso. Non a caso lo spagnolo lo considerava uno dei problemi dello spogliatoio. E un giorno, durante un allenamento, il Peq ha lasciato il campo infischiandosene del richiamo del tecnico. Il distacco di Aquilani, invece, è stato più sofferto. I Sensi con la sua cessione al Liverpool hanno rimesso a posto i conti: 20 milioni cash più bonus, forse la miglior operazione condotta proprio da Pradè. La Roma americana ha pure pensato di riprenderlo due anni fa e Alberto ci ha sperato.
Anche Toni ci è rimasto male quando ha capito che avrebbe dovuto lasciare Trigoria dopo aver sfiorato uno scudetto: gli avevano promesso che sarebbe rimasto. Il tricolore lo ha vinto Lupatelli nel 2001: anche lui fa parte del gruppo viola di ex romanisti, insieme al medico Luca Pengue. E l’anno prossimo dovrebbe raggiungerli Bruno Conti, pronto a ricomporre la coppia con Pradè. Una Fiorentina sempre più alla romana.