Asamoah – gol annullato regolare – Matos – infortunio Strootman – dominio territoriale – gol annullato irregolare – Callejon : cosa accomuna tutte queste parole, situazioni, gesti tecnici? La differenza che c’è tra una traversa piena, palla fuori e un incrocio pieno, palla dentro, la differenza che intercorre tra 30 cm. di fuorigioco visti in maniera fenomenale e una gamba di un difensore che tiene in gioco un avversario che invece impongono di alzare comunque la bandierina.
E’ ingiusto e frustrante che, la squadra a tratti più spettacolare del campionato, la vera sorpresa di questo torneo, capace di vincere le prime dieci consecutive, capace di mantenere inviolata la porta per 17 volte, capace di mandare in gol 14 calciatori diversi, debba finire a meno 14 dalla prima della classe, che per motivi diversi concluderà a sua volta un campionato, da record assoluto, nella storia della Serie A.
La giornata di ieri ha dimostrato ancora una volta che nel calcio, spesso e volentieri, i particolari decidono i piazzamenti finali: la Juventus gioca da un mese e mezzo ai suoi livelli 50 minuti di partita, trova il gol con un destro di Asamoah deviato sotto l’incrocio, subisce il ritorno della Fiorentina con un gol annullato regolare e rischia di pareggiare la partita, ma Matos incredibilmente ad un metro da Buffon (guardare la faccia del portiere della Nazionale per capire cosa si è rischiato), riesce a sparare sulla traversa un pallone che ancora oggi grida vendetta.
Al San Paolo succede tutto il contrario: entri in campo credendo che il Napoli debba fare la partita della vita e invece accade qualcosa di poco comprensibile. Perdi Kevin Strootman dopo 13 minuti, per un infortunio grave al ginocchio, proprio nel momento in cui non hai De Rossi out per tre turni di squalifica. Entra Taddei regista e pensi sia l’inizio della fine, alzi la mano chi non lo ha pensato. Invece no, la Roma si mette lì, palla a terra, mente lucida, cuore caldo e gettato oltre l’ostacolo, e macina gioco, occasioni, alza il baricentro, annichilisce una squadra, che dopo 40 minuti viene fischiata dal pubblico amico, tra un Romano Bastardo e l’altro.
La Roma, priva di Totti (miglior giocatore del nostro campionato), De Rossi, Strootman dopo pochi minuti, un terzino sinistro titolare da più di un mese, è scesa sul terreno di gioco partenopeo, dove sono cadute in tante, dall’Arsenal, al Borussia Dortmund, per imporre il proprio calcio, per dominare una gara in un lungo e in largo, con Taddei regista, Romagnoli classe 95′ terzino che esclude dalla gara per 80 minuti Callejon, un grande spirito di gruppo e una concentrazione difensiva d’altri tempi.
Difficile da spiegare, a chi di calcio capisce poco, perchè alla fine sia finita 1-0 per gli avversari, difficile comprendere per chi invece ne mastica cosa sia realmente mancato.
Il dominio territoriale, la qualità del palleggio, la capacità di affrancarsi con responsabilità dalle assenze pesanti, sono sintomi di una crescita calcistica evidente, che nel suo complesso dovrà servire come bagaglio fondamentale da portare negli anni avvenire e sul quale innalzare le mura portanti di una grandissima squadra.
La Roma ieri sera si è dimostrata grande, a tratti maestosa da cintola in giù, con una coppia di centrali che sembrano nati per giocare insieme, l’uno di fianco all’altro, che non sbagliano mai un anticipo, che hanno puntualmente oscurato qualsiasi avversario sia passato dalle loro parti in questa lunga stagione.
Garcia prepara una gara di assoluta concentrazione, di assoluta determinazione, memore degli errori e della leggerezza mostrata nella precedente sfida al San Paolo, ma quel piano tattico “che ha funzionato perfettamente fino al gol“, fondato su un ipotetico gioco di rimessa, veloce e profondo negli spazi, si è trasformato in pochi minuti in un dominio assoluto.
La compagine giallorossa non ha giocato in contropiede, ma ha fatto la partita perchè semplicemente è più forte e consapevole del Napoli e solo il calcio, sport assurdo rispetto alle altre discipline, ma allo stesso tempo fascinoso proprio per questo, ti regala giornate o serate così, dove la squadra che gioca peggio alla fine vince.
Qui subentrano le considerazioni finali, di una serata amara, che ciascuno di noi è libero di fare: la sfortuna, le assenze, gli errori dei singoli, la maledizione, una storia che si ripete, il braccino del tennista, i capri espiatori, sono tessere dello stesso mosaico, che raccontano di una stagione memorabile se si guarda da dove si è partiti, ma che allo stesso tempo lascia quel retrogusto insolito, di chi ha fatto tanto per ritrovarsi poi con poco o nulla tra le mani.
L’obiettivo Champions è alla portata, anzi sarebbe meritato per quanto prodotto, ma la paura di perdere quel vantaggio accumulato, per tante variabili impazzite, c’è e si è vista a tratti ieri sera, quando la squadra dopo 70 minuti di calcio, ha abbassato il proprio baricentro.
In quel frangente forse Garcia avrebbe dovuto comprendere, da condottiero navigato qual è, che un cambio più rapido nelle tempistiche poteva darti il peso specifico che a tratti era mancato da centrocampo in su.
Bisogna ritrovare quella cattiveria, quella fame che all’inizio scaturiva dalla rabbia di una delusione cocente, consumatasi nel maggio scorso, e che soprattutto sembrava carattere comune a tutti i calciatori giallorossi: nell’ultimo mese qualcuno sembra aver smarrito quell’atteggiamento di forza e consapevolezza, basta vedere la differenza di sguardi tra Benatia e Ljajic, tra Castan e Destro, per fare dei semplici esempi, e capire che per centrare l’obiettivo europeo serve un blocco unito, cementato intorno ad alcuni leader e magari, questo si, anche un pizzico di fortuna in più, che possa tramutare in rete un pallone che esce a fil di palo, o un fuorigioco millimetrico.
Forza Roma!
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