IL MESSAGGERO (G. LENGUA) – La Roma cambia le proprie dinamiche interne. Il fallimento della scorsa stagione ha indotto il presidente Pallotta non solo a rivoluzionare il settore tecnico, ma anche a rivedere le strategie che sono state adottate nei due precedenti mercati gestiti da Monchi. La società ha fatto il passo più lungo della gamba vendendo calciatori come Alisson e Salah e acquistandone altri in età avanzata con ingaggi sopra la media che, però, si sono rivelati un flop (vedi Pastore e Nzonzi). A tutto questo si è aggiunto anche il mancato piazzamento in Champions che ha privato il club di 70 milioni, per incassarli non basterebbe nemmeno qualificarsi in semifinale di Europa League. Per uscire dell’impasse le strade da percorrere a giugno sarebbero state due: vendere i giocatori più remunerativi che avrebbero garantito una plusvalenza ripartendo così da zero come 5 anni fa; rinnovare il contratto ai calciatori con più potenziale di crescita (Under e Zaniolo, ma uno dei due potrebbe partire a giugno), acquistare solo giovani di prospettiva a cui garantire stipendi accettabili (non più di 1,5 milioni) e nessun acquisto definitivo over 27 (Mkhitaryan, Smalling, Kalinic e Zappacosta). La Roma ha scelto la seconda strada dando il tempo di maturazione di 24 mesi ai talenti in rosa e sperare che durante la stagione asset come Veretout, Diawara, Mancini e Spinazzola aumentino il proprio valore sul mercato. La società è rimasta spiazzata dal caso Riccardi, tenuto in considerazione dalla piazza perché romano e non per il reale valore tecnico.
DISASTRO MONCHI – All’ex ds Monchi era stata concessa troppa autonomia, senza che la società operasse un controllo serrato sugli acquisti. Sarebbe stato lui (con l’area tecnica), inoltre, a prendere la decisione di non trattenere De Rossi. Calciatori come Nzonzi e Pastore, dopo la stagione fallimentare, erano impossibili da piazzare sul mercato. Petrachi, dunque, è dovuto ricorrere a operazioni in uscita in prestito che permettessero al club di alleggerire i costi fissi (ora a 245 milioni). Attualmente la Roma può contare su un 25% di costi variabili che in caso di mancata Champions anche nel prossimo anno possono essere facilmente cancellati. L’unico modo per cambiare la situazione è che il club disponga di uno stadio di proprietà (a Trigoria si aspettano che la convenzione urbanistica arrivi nelle prossime settimane, il vicepresidente Baldissoni ha valutato l’area di Fiumicino), così da aumentare i ricavi dando alla squadra un futuro europeo ad alti livelli. Pallotta ha dato una nuova struttura alla Roma (torna Manolo Zubiria come global sport officer) in cui c’è una catena decisionale ben definita: il ds valuta una serie di profili in base alle indicazioni del tecnico, l’ad Guido Fienga gli dà una coerenza economica e il presidente certifica il tutto. Il compito di Baldini? Ricoprire l’ultima parte della catena, dopo aver riportato tutto a Pallotta. Da Boston c’è da sempre attenzione agli infortuni, poco tempo fa Ricardo Gallego del Real ha stilato un’accurata relazione sui campi di Trigoria.